La Poesia come vittoria della Bellezza sull’oblio
Ciò che rende l’Arte l’espressione più incredibile della creatività umana è il suo essere al tempo stesso assolutamente inutile e assolutamente indispensabile. Quando parlo di Arte non mi riferisco alle opere musealizzate, ai classici della letteratura, ai film che tutti dovrebbero aver visto almeno una volta nella vita; bensì a tutte quelle espressioni dell’animo umano frutto della nostra costante ricerca della Bellezza. Un motivetto canticchiato sull’autobus, una poesia scritta sovrappensiero, un film talmente bello da commuoverci: questa è la Bellezza autentica che l’Arte fa scaturire da noi ogni giorno. Aristotele diceva che l’essere umano è un animale sociale; a questa definizione potremmo aggiungere che esso è anche un instancabile cercatore della Bellezza. L’uomo, infatti, non può vivere in completa solitudine, così come non potrebbe nemmeno pensare di sopravvivere senza anche solo aspirare ad attingere alla Bellezza. Perché è solo quest’ultima che rende la vita degna di essere vissuta e rende i nostri occhi capaci di vedere per davvero. Proprio la Bellezza, sotto le forme della Poesia, è ciò che cerca costantemente e con tenacia Mija, la protagonista dell’ultimo, straordinario film di Lee Chang-dong; una ricerca che a un occhio puramente razionale sembra quasi priva di senso. La vita di questa dolcissima sessantenne, infatti, viene all’improvviso sconvolta da due terribili scoperte: la malattia (la donna, infatti, è malata di Alzheimer) e la morte (rappresentata dal suicidio di una giovane studentessa). A seguito di tali scoperte, Mija decide di iscriversi a un corso di scrittura poetica, un corso nel quale gli allievi apprendono che solo attraverso la poesia è possibile vedere veramente. Ecco dunque che mentre la malattia avanza e le domande sulla morte della giovane portano alla luce verità ancor più orribili, Mija sembra chiudere gli occhi, distogliere lo sguardo dall’orrore che è prepotentemente entrato nella sua vita, per volgerlo esclusivamente alla poesia e a tutto ciò che può ispirarla. Gli equilibri del suo mondo interiore ed esteriore si sgretolano, abbattuti dall’inesorabile procedere della malattia e dal cinismo senza fine degli uomini (carnefici e vittime), ma ciò non distoglie la poetessa dal dedicare la sua attenzione alle foglie degli alberi e al colore dei fiori.
Questo volgere lo sguardo non nasce, come si potrebbe erroneamente interpretare, dal desiderio della donna di ignorare, di dimenticare la condizione in cui il microcosmo del suo Io e il macrocosmo del contesto in cui è inserita (familiare e comunitario) stanno precipitando, tutt’altro; poiché solo attraverso la poesia è possibile vedere la Verità e la Bellezza, Mija cerca disperatamente, con tutte le sue forze, di scrivere una poesia prima che la malattia cancelli dalla sua mente tutte le parole, prima che la morte riveli una verità troppo orribile per essere pronunciata. La poesia non è, dunque, il tentativo di obliare la Realtà (cosa che non sarebbe possibile, perché la Bellezza è nel reale) bensì la testimonianza di questa Realtà, della Bellezza insita in essa malgrado tutto, prima che l’oblio (rappresentato dalla malattia e dalla morte) abbia il sopravvento. Paradossalmente il Reale, pur nella materialità della sua essenza, cerca di farsi effimero, di farsi dimenticare, mentre la Poesia, figlia dell’immaginazione e della fantasia, impedisce a questo reale di obliare e di obliarsi. Ciò che Mija porta a termine, dunque, non è un semplice componimento poetico, bensì una lotta tra il Reale, che vuol cancellare dalla sua mente le parole, e la Poesia, il regno di quei nomi che la donna ha tanta paura di dimenticare.
Dopo il controverso Secret Sunshine (controverso perché giudicato da una certa critica eccessivamente criptico e solipsistico), Lee Chang-dong torna a narrare una storia commuovente e ricchissima di significato. Attraverso la figura esile e minuta di questa signora, infatti, il regista coreano canta il suo inno, sincero e privo di qualsiasi retorica e patetismo, alla Poesia, intesa come fonte di forza e di coraggio (“scrivere poesie è innalzare un pilastro che sostiene il tuo cuore spezzato”), intesa come fonte di amore. Non vi è amore nella vita di Mija, se non in senso unidirezionale, da lei verso la figlia (dimentica della madre) e il nipote (incapace di un minimo gesto di affetto per la nonna). In questo contesto dove anche i rapporti familiari cedono alla logica del cinismo, l’unico rapporto amoroso che riesce ad instaurarsi è quello tra Mija e la Poesia, tra Mija e la Bellezza. Yu Junghee, una delle migliori attrici coreane viventi, torna dopo anni sullo schermo e lo fa interpretando con grandissima intensità il personaggio di Mija: nei suoi sorrisi timidi, nel suo sguardo ora perso, ora triste, c’è quello che i poeti romantici avrebbero chiamato sentimento. Ed è proprio questo, sentimento e sensibilità, che l’attrice coreana infonde in ogni gesto, in ogni espressione di questa Amélie coreana, lasciando gli spettatori commossi e consapevoli di aver visto un film che può definirsi, senza ombra di dubbi, bellissimo.
Curiosità
Il film ha vinto il prix du scénario a Cannes per la miglior sceneggiatura ed è risultato vincitore agli Asian Pacific Screen Awards nelle sezione miglior regia e migliore attrice protagonista.
A cura di Saba Ercole
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