L’al di qua sa di latte e fregatura
Crialese è un maestro. Sbaglio lo so, quando si scrive non bisogna mai dare niente per appurato. Occorre dimostrare le proprie tesi; eppure chi vede Nuovomondo difficilmente può contraddirmi.
Magari potrà ammettere di essersi annoiato e di aver sofferto in certi punti per la particolare lentezza, ma non potrà negarne la bellezza, quella sua carica di immagini che persiste nella mente, come un tatuaggio non si estingue dalla pelle.
I Mancuso sono le figure scelte per rappresentare un’avventura umile e grandiosa allo stesso tempo: sono dei piccoli personaggi che camminano a piedi nudi sulle pietre, sognano un futuro migliore dove l’oro cade dagli alberi e che non dimenticano i valori sacri della famiglia e dell’onore. Crialese li segue con amore come se fossero i suoi Malavoglia, muove la sua intensità ponendo sempre al centro i loro passi, le loro cadute, i loro pensieri. E’ un grande cinema antropocentrico, alla Visconti, questo di Nuovomondo, dove si catturano le fregature delle speranze, le ingenuità di chi aspetta di poter nuotare nel latte, come se davvero esistessero torrenti di quel sapore.
L’autore cattura, non corregge, non giudica, guarda, rispetta. E mentre scruta questo cosmo dove ogni dettaglio è qualcosa di indispensabile e l’umanità è radiografata con una cura degna dei vari Courbet, Millet o Daumier, ci rendiamo conto che in quella messa in scena noi siamo parte integrante, ci siamo anche noi ad attraversare l’oceano, ci siamo anche noi ad affrontare quelle prove d’intelligenza. Già in Respiro (2003), Crialese aveva provato a illustrarci il significato della parola “straniero”, dell’essere fuori contesto. Grazia era isola nell’isola, i Mancuso sono isole nel continente. Solo che a differenza della precedente opera in cui il regista aveva comunque spinto su toni più fiabeschi, qui impone maggiormente la sua volontà filantropica, di narratore che esalta la grandezza dei piccoli sotto i colpi inflitti dai grandi, nascondendola in rivelazioni, apparizioni, piccole fantasie. Un po’ come lo stesso Dickens faceva nei suoi libri.
I Mancuso scappano col desiderio di essere principi, ma finiranno per essere umiliati, maltrattati come se la loro diversità fosse un reato, un diritto all’espulsione dall’Eden ricercato.
Il Nuovo Mondo ha una religiosità inversa, di burocrazia e crudele intelligenza che emargina le anomalie e i difetti di produzione. Tutto quindi in perfetto stile americano.
C’è un Dio che caccia i suoi Adamo ed Eva non perché abbiano mangiato la mela a tradimento, ma perché non sono stati abbastanza furbi a raccoglierla.
Il Vecchio Mondo ha un’escatologia di vacche che pascolano al ritmo delle nuvole e di incubi di carote giganti, mentre le case sono di pietre vulnerabili.
Il Nuovo Mondo è l’ordine, l’infallibile geometria e la successione corretta causa-effetto, il Vecchio è la non necessità dell’ordine, l’eversione, l’asimmetria e quindi l’astrazione e la creatività.
Non si subisce il bastone della logica, perché si segue ancora la pulsione, il residuo di umanità che a Ellis Island hanno già compresso in carne da lavoro, alienata e dolente.
Tuttavia Crialese non eccede in un accentuato manicheismo, semmai ne illustra con misericordia il passaggio, il transito con le sue contraddizioni e le sue perplessità. E ama guardare dall’alto, per aumentare la nitidezza e il coraggio dell’occhio.
Sbaglio lo so, dando per certa una tesi, che questo sia un piccolo capolavoro.
Sbaglio eppure lo ribadisco. Ma non intendo eccedere in discorsi tecnici, perché questo è un film che va spremuto solo assorbendone i colori, i contrasti e i tempi. Non servono fiumi di parole.
Basta vederlo per capire che tanto Crialese ha già fatto tutto.
Curiosità
Il film ha vinto all’ultima edizione del Festival di Venezia il Leone D’ Argento – Rivelazione. Era la prima volta che Crialese partecipava alla prestigiosa kermesse. Vincenzo Amato, l’attore protagonista, insieme a Francesco Casisa e Filippo Pucillo avevano già recitato per il regista romano nel precedente Respiro.
A cura di Giuseppe Carrieri
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