Faust: il pensiero per immagini
A Venezia le immagini di Sokurov hanno sbalordito gli spettatori e il pubblico, ma probabilmente chi conosce la sua opera è rimasto in parte perplesso di fronte all’ultima fatica del regista russo. Il quarto capitolo della tetralogia (gli altri tre sono Moloch, Taurus e Il sole) dovrebbe parlare del potere ma vira sulla condizione esistenziale, sulla ricerca insistente della propria realizzazione personale, in una dinamica shakepeariana in cui il protagonista non può fare a meno di obbedire ciecamente alle passioni più profonde.
Gli ambienti di Faust sanno di sporcizia, di sudiciume. Sono affollati da popolani incappucciati che si affacciano nelle inquadrature a osservare Faust, spiandolo nel suo mondo fatto di autopsie e intestini; brutte facce che sembrano provenire direttamente da un quadro di Bosch, riprese dalla tradizione medievale in cui brutto equivale a cattivo – e il corpo deforme e atrofizzato di Mefistofele conferma ulteriormente la tradizione popolare. È un ambiente lontanissimo dalle figurine ingessate di Moloch e Il sole: là gli imperatori, volenti o nolenti, si staccano dalla condizione divina per ritornare a quella umana. Qui Faust cerca in tutti i modi di abbandonare le miserie del popolo per elevarsi allo status divino attraverso la conoscenza, l’amore per la sua donna-angelo Margarethe e il tentativo maldestro di raccattare dei soldi (il denaro è un ritornello in questo film) che di certo non impensierivano Stalin, Hitler o Hirohito.
La storia cede il passo alla fiction, al mito. In un contesto storico ottocentesco che rimanda in sordina al medioevo, Sokurov affronta una storia di fantasia o meglio ancora di mitologia scegliendo la filosofia come suo interlocutore. La voce off di Faust, come lo era in Arca russa, accompagna le immagini con il pensiero e si interroga sul senso dell’uomo nel mondo, sul rapporto tra l’uomo e la conoscenza. Non c’è più la fortezza-mondo degli imperatori che filtra le relazione tra il moloch e la realtà: Faust vive, desidera, ama. Le immagini di Sokurov si piegano a questa intenzione: rappresentare il sublime, cioè l’umano e il divino, il pensiero, l’amore, la natura, con la sintesi e la precisione che solo la poesia sa ottenere. Sokurov non strizza l’occhio allo spettatore, le immagini di Faust non sono semplici e scelgono un incedere lento, faticoso; si riserva però il piacere di sorprendere il pubblico con un’immagine inaspettata, una nuova via espressiva: la luce dorata che abbraccia Margarete, il tuffo nel lago – e nell’amore – gli ultimi scambi di battute tra Faust e Mefistofele vicino alla potenza dei geyser sono lì a ricordarci la prepotente bellezza delle immagini e la capacità di tessere relazioni complesse con l’uomo e con le altre arti. Forse, per i grandi appassionati di Sokurov, questo non è il film più compiuto della tetralogia; probabilmente però è il più conturbante e sorprendente.
Curiosità
La storia di Faust è comparsa in moltissimi capitoli drammaturgici, letterari e cinematografici. La sua prima comparsa sul grande schermo risale al 1903 con La damnation de Faust di Georges Méliès.
A cura di Fabia Abati
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