Non rispondete a quel telefono!
Siamo tutti cari al buon vecchio zio Walt Disney per i sogni che ci ha regalato fin da quando eravamo bambini. Da quando però Disney non c’è più, il suo impero si è trasformato nella Buena Vista e purtroppo tante cose sono cambiate, di queste solo poche in meglio.
La globalizzazione, qui non si parla solo di hamburger, tende ad appiattire il gusto di piatti ricchi e invitanti poichè essi difficilmente potrebbero piacere indistintamente al pubblico in tutto il mondo, anche nel mercato cinematografico.
Così un prodotto pensato per essere distribuito a livello internazionale, deve essere costruito rispettando certi canoni di omologazione, con lo scopo di essere accettabile dai mercati nazionali globali.
Phone sembra subire questo tipo di illusione, vorrebbe essere un piccolo film di culto, come la Corea ne ha sfonati molti (Ringu (id., Hideo Nakata, 1998) e The Eye (Jian gui, Oxide Pang Chun e Danny Pang, 2002) solo per citarne alcuni) ma lo fa con la consapevolezza di essere un prodotto destinato alla distribuzione internazionale. In Phone vengono così ricalcati i cliché del genere horror più tipico dell’estremo oriente, conflitti con la tecnologia, persecuzioni, ossessioni corporee e sessuali (qui molto velate) ma vengono reimpastati e smitigati sulla falsa riga del successo di Ringu, ma soprattutto del suo clone americano The Ring di Gore Verbinsky (2002).
Il cellulare suona di continuo, quasi fastidiosamente, provoca spaventi a ripetizioni ai protagonisti del film ma ben pochi tra il pubblico che, in teoria, è arrivato in sala proprio per essere scosso dai brividi. La storia, assai poco credibile, di una giovane giornalista che dopo aver pubblicato un reportage viene molestata e minacciata di morte, risulta alle volte involontariamente risibile (stracult le congetture divinatorie sul misterioso numero di telefono 011-9998-6644) fino ad un’imperdibile citazione esplicita a Susanna Tamaro (non scherzo). La figura del persecutore telefonico risulta comunque plausibile e in linea con altre produzioni orientali (A snake of June , Rokugatsu no hebi, di Tsukamoto, 2002) ma le fila narrative del film si perdono quando alla voce minacciosa al cellulare si sostituiscono delle misteriose urla che invadono la testa di chi le ascolta fino a renderlo pazzo.
I pochi colpi bassi rivolti allo spettatore sono causati da effetti sonori “esplosivi” piazzati a regola d’arte in modo da far sobbalzare sulla poltroncina all’apparire di un personaggio, ma per un film horror è una trovata un po’ misera. Per il resto la sceneggiatura è affascinante per quanto ricca come non mai di buchi irrisolti (perché tutti i precedenti titolari del numero misterioso sono morti?).
La vera perla del film è in realtà la piccola indemoniata Eun Seo-woo che dopo aver ascoltato le urla agghiaccianti al telefono cerca di intraprendere un rapporto edipico a tal punto morboso con il padre da minacciare di morte (anche lei!) sua madre.
A cura di Carlo Prevosti
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