Cannibal reality
Reality Thriller di Raffaele Elia *****
Intreccio classico e poco originale, il soggetto di Niccolò Ammaniti gioca sul sicuro rifacendosi al cliché di infinite storie gialle in cui un personaggio misterioso minaccia un gruppo di persone legate insieme da un evento o da una colpa del passato. La storia quindi funziona solo all’inizio, per lo spettatore tutto diventa chiaro troppo presto e Infascelli deve colmare il difetto di suspance con intriganti scenografie post-industriali, inquadrature distorte e continui ed abili effetti di regia già abbondanti nel precedente Almost blue (id., 2000). Non è sufficiente arricchire l’intreccio con il tema della critica della tv, riuscito ma non sconvolgente per originalità, per mantenere il coinvolgimento per l’intero film.
Il cast è di buon livello con la rilevante eccezione di Rosario Gnolo, l’attore che interpreta il Mago Daniel, imbarazzante, caricato, macchiettistico fino all’inverosimile… quando è ripreso in primo piano con gli occhi sbarrati o nella scena finale nel sotterraneo, distruggendo ogni residuo di tensione, si mostra talmente ridicolo che sorge il dubbio si tratti di un personaggio comico. Altre brevi annotazioni: l’ispettrice Allasco (una intensa Margherita Buy) è l’ennesimo poliziotto abbandonato dal compagno, con un rapporto difficile con il figlio, che si da all’alcol dopo un incidente in cui ha perso la vita un collega; dopo due anni di giornate spese a bere birra l’ispettrice sembra anoressica! e per uscire da una botola fa perno sulla gamba zoppa!
Infine, l’immagine di chiusura con l’happy end dell’abbraccio con il figlio francamente si poteva evitare. Interessante, invece, l’idea, evocata in diversi momenti del film, di associare metaforicamente il sequestro ai reality show per ex-vip, entrambi danno l’occasione di risorgere a personaggi dimenticati.
Teleschermi cannibali di Osvaldo Contenti ********
Dopo l’apprezzatissimo esordio di Almost Blue (id., 2000), Alex Infascelli anche in questa sua opera seconda, Il siero della vanità, torna a sondare il tema a lui caro del delinquente seriale. Ma se nel film precedente la psicologia dei personaggi veniva avvertita attraverso le tonalità distinte di rosso, verde e blu, stavolta è il totale delle immagini invasive della tv spazzatura a darci la cifra dei comportamenti ossessivi di una mente malata e di quelli, non meno ripugnanti, catalizzati nel Sonia Norton Show da cui tutto ha inizio. Infatti, mano a mano che alcuni famosi personaggi del talk show svaniscono nel nulla, il plot si snoda in un’avvincente e doppia lettura che da una parte segue le orme degli scomparsi e dall’altra svela gli squallidi retroscena di un mondo televisivo senza scrupoli dove apparire è più vitale che respirare.
Un thriller a sfondo sociologico, quindi, che prende spunto ma si diversifica dall’attacco contro i media delle consuete pellicole di David Cronenberg (una per tutte, Videodrome), puntando non sulle mutazioni corporee, tipiche del regista canadese, ma sui drammi personali che un certo cannibalismo televisivo porta con sé. Da questo punto di vista, sembra chiedersi e chiederci Infascelli, è il mostro che imprigiona i personaggi della tv o l’uso mostruoso del mezzo televisivo a mostrarci più ferocia? E poi, il primo non è forse l’effetto del secondo? In tale contesto non deve essere stato facile per gli attori non cadere in cliché di genere: la conduttrice iper-arrivista e l’ex ispettore di polizia proposti nel film. Ma sia Francesca Neri nel primo ruolo che Margherita Buy nel secondo hanno vinto la sfida dando gran spessore psicologico ai loro rispettivi personaggi. Francesca Neri c’è riuscita resettando ogni sua avversione ideologica verso Sonia Norton, scaricando in quella sorta di cyber-conduttrice tutto il cinismo, l’intrinseca cattiveria e la brama da scoop che un tale soggetto ha per codice genetico. Margherita Buy, invece, sicuramente al top della sua maturità d’attrice, ha risolto il personaggio di Lucia Allasco in chiave esistenziale, con un potentissimo afflato rivolto a quella persona ferita nel corpo e nella mente che conduce le indagini combattendo al tempo stesso contro il mostro esterno ed i propri fantasmi interni.
Sul piano della regia, Alex Infascelli non ha usato l’mdp per far vedere che è bravo (come spesso capita a certi esordienti in vena di narcisismo) ma per seguire d’appresso ogni paura, ogni ansia dei suoi personaggi che è sembrato quasi condividere. Ed è filmando questi cortocircuiti della mente che Alex è riuscito ad illuminare il suo film, con fiammate elettriche che spalancano l’inconscio per brevi ma eloquenti istanti.
A cura di Raffaele Elia
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