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cultura dell'immagine e della parola

Frullato alla fragola

Frullato alla fragola


Oltre a fare forza su una comicità grottesca e anedottica, Santa Maradona (Marco Ponti, 2001) ha avuto il pregio di raccontare il mondo della gioventù italiana più birbona e stereotipata attraverso un linguaggio nuovo nel nostro panorama cinematografico, incalzante nella musica e nel montaggio, ma soprattutto dotato di una sceneggiatura che non aveva paura di parlare, creando invece storie su storie che arrivavano da sole a dare spessore all’intero film.

Con questo secondo film la cifra del regista è ancora quella: Ponti ama raccontare storie e riesce a farlo bene, inserendo significato tra il farsesco e il luogo comune. Le microstorie del mondo denominato A/R iniziano da subito: Dante vestito da Babbo Natale che racconta al bambino sulle sue ginocchia di uomini crudeli che gli avrebbero squarciato la pancia con un coltello da cucina, la storia che Tolstoj racconta a Dante sull’ultima notte di Kurt Cobain, la storia che Nina ha bisogno di sentirsi dire dall’amica per riconoscere nell’uomo che le dorme accanto il suo fidanzato, la storia assurda di Superman, che se è di Cripton come fa ad essere allergico alla criptonite?

Entrambi i film di Ponti si basano su questa frammentazione del filo narrativo principale in divertenti, esemplari brandelli di altre storie che si occupano di riflettere sulla veridicità della storia più grande, mettendo in risalto la vacuità e l’assurdità di quella che comunemente è considerata realtà. Incantevole in questo senso è il Babbo Natale che Dante incontra nella cella a Barcellona: un vecchio bianco e pelato che fuma e che, tra le altre accuse, è stato denunciato per pedofilia e per aver danneggiato il camino di una proprietà. «Duro essere Babbo Natale di questi tempi, ogni cosa che fai è diventata ormai illegale».
Ma A/R Andata+Ritorno lentamente perde la compattezza che questi racconti anedottici erano riusciti a dare a Santa Maradona in un autocompiacimento formale che rende l’immagine patinata e non autentica: l’importante uso delle tecnologie digitali in postproduzione hanno cercato colori freddi e definiti, con una luce alla maniera seducente di Soderbergh ma senza la sua eleganza, con un montaggio effettistico da videoclip che si prende troppo sul serio. La storia dell’incontro voluto dal destino tra la partenza di Dante che si trasforma in un ritorno e il ritorno di Nina che diventa una permanenza non riesce a prendere un vero movimento: la stasi della storia ristagna forse in alcuni microracconti che vengono tralasciati, come i quaderni e le foto che Nina trova nella casa di Dante e che parlano della sua vita passata. Quaderni artigianali, scritti fittamente e dispersi negli angoli più nascosti della casa, di cui noi non sapremo mai nulla: sono come quegli elementi di racconto che mancano alle fondamenta del film e che lo condannano all’appiattimento e alla superficiale soddisfazione dell’occhio.

Curiosità: La troupe lavorava 12 ore al giorno, perdendo così interamente L’isola dei famosi. L’unico film che tutta la troupe è corsa a vedere compatta è stato Kill Bill (Quentin Tarantino, 2003). Tutti erano entusiasti e galvanizzati, dopo la visione. (da Note di Marco Ponti, Pressbook A/R Andata+Ritorno)

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