Bushido, la via del guerriero
Un’altra lama luccica nella terra del Sol Levante. Dopo Kill Bill (feticismo dell’acciaio e del taglio) e Zatoichi (grottesca katana che spiazza); questa pellicola hollywoodiana, vede il Bushido con gli occhi a mandorla in quello che prevedibilmente era il suo contesto più scontato ma non meno gratificante: il film d’azione romantico. Degno di paragoni con i capisaldi dell’ultimo decennio del genere, da Bravehart a L’ultimo dei moicani e Balla coi Lupi (e qualche tocco del B-movie Red Scorpion con la scandalosa interpretazione di Dolph Lundgren); L’ultimo Samurai è l’esempio di un film d’azione vecchio stampo dai toni epici che nelle difficile scene di battaglia non fa ricorso ad alcun uso di effetti speciali, e che aldilà della sceneggiatura, della trama e dei dialoghi (prevedibili) trova i suoi punti di forza nella certosina operazione di ricerca delle location, dei costumidi, del casting, e soprattutto nella scelta delle riprese di combattimento corpo a corpo ravvicinate.
Il tema della lama che scavalca l’arma da fuoco, adottata in Gangs of New York come scelta registica (la polvere da sparo viene rifiutata in nome di un acciaio che è virilità, prolungamento naturale della necessità dell’uomo di offendere-difendere e cinema d’azione ancestrale allo stato puro); viene qui riletto in chiave ideologica. La forza di un ideale originale di integrità contro il progresso forzato, corrotto dal denaro e dal potere (vedi odierna posizione del mondo occidentale nei confronti del mondo in via di sviluppo); il lento accumulo della cultura e della saggezza contro la frenesia e l’irreversibilità della tecnologia (vedi sopra); la forza dell’onore e dell’amicizia contro la mercificazione dei rapporti personali, l’importanza del particolarismo culturale e la profondità religiosa e poetica, questi sono i messaggi spediti che il film esalta con forte pateticità.
Edward Zwick, senza cadere nel politically incorrect de “Il patriota”, tocca un tema complesso, difficile, in un periodo terribilmente delicato, quello attuale, che catalizza ancor più le riflessioni in merito. Talmente difficile che il finale meritava una soluzione più meditata, meno sbrigativa.
La forza del film, aldilà delle cadute frequenti in scene strappalacrime (e purtroppo necessarie visto il rapporto “budget/trepidazione visiva” che nel genere deve essere ai massimi livelli); sta proprio nel tentativo del regista di immergere emotivamente lo spettatore nella pregnante dialettica che attraversa tutto il film: i valori con la V maiuscola, forse i valori ultimi e insperatamente difendibili, che si fronteggiano senza scampo con la violenza del “progresso” senza scrupoli morali.
A cura di Fabio Falzone
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