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Prigione quotidiana

Prigione quotidiana

L’eroicità è qualcosa che non appartiene all’America. Le appartengono invece il dolore e la prigione. Trapassa dalle sbarre della gabbia del corvo al quale la Kidman dice: “Sposami”. L’America del 1998, in periodo di fellatio clintoniane, dibatte su cosa è politicamente corretto non facendo altro che sfoderare tutto il suo bigottismo. Le pagine si sfogliano dagli anni ’40 ai giorni nostri con lo stesso tono cupo e asfissiante, con il medesimo bisogno di conformarsi che appiattisce la natura umana.
Poi, un uomo e una donna si incontrano perché sono disperati, perché entrambi sono esausti di scappare, mentire, non essere se stessi. Faunia e Coleman sono personaggi estremi: lei distrutta dalla vita, che forse ha contribuito a distruggere per annullare se stessa, lui un nero con la faccia bianca come un giglio. Una relazione politicamente scorretta, fuori età, oltre le capacità sessuali di lui, oltre la disponibilità all’amore di lei. La speranza che rimane alla fine è quella di poter aprire la gabbia almeno un po’ e, come una folata d’aria, lasciare che anche altre gabbie si aprano.

Curiosità: Philip Roth è considerato una punta di diamante nel panorama letterario americano contemporaneo. Nel 1998 vince il Pulizer con Pastorale americana. Poi arrivano Ho sposato un comunista e La macchia umana, una sorta di trilogia sulla storia dell’intera nazione americana.

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