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Faccia di cuoio non è cresciuto

Faccia di cuoio non è cresciuto

Per iniziare a parlare di un remake, non si possono non spendere due parole sul film da cui questo trae ispirazione. Il “Non aprite quella porta” di Tobe Hooper del 1974 è un film storico nel suo genere, perché è riuscito a portare al grande pubblico un genere non facile come lo splatter, grazie ad un tono grottesco che ha conferito al sangue e agli squartamenti un significato decisamente diverso da quello consueto.
Il remake di cui si sta parlando è ben altra cosa. Sono passati trent’anni e si sentono. Il regista, Marcus Nispel, ha quindici anni di videoclip alle spalle, e anche questo si sente. I protagonisti hanno sempre delle fotogeniche gocce di sudore sulla pelle (ma mai una di più del dovuto) e ovviamente sono bellissimi quasi fossero degli attori di Hollywood. La telecamera passa repentinamente da panoramiche e campi lunghi a rapidi e confusi movimenti a mano. La fotografia (dell’altro videoclipparo Daniel Pearl) è sporca ma allo stesso tempo patinata, come va oggi nel cinema horror.
Il tentativo di Nispel è stato quello di fare del mondo quasi surreale creato da Hooper un luogo realistico, ma trasformare un sogno nella realtà non è impresa facile. Se così nel primo film accadevano cose impensabili ma era tutto ammesso visto il contesto, in questo, dato che tutto sembra vero, ci si chiede perché un uomo senza una gamba e con un gancio infilato nella schiena non muoia per ore per poi crollare per un colpo allo stomaco. Se tutto questo non bastasse Scott Kosar, lo sceneggiatore anch’egli esordiente, ha pensato bene di inserire qualche bel moralismo (che non manca mai in un horror americano). Così ad esempio l’unica a salvarsi è la ragazza che rifiuta l’uso di droghe e che vorrebbe avere una famiglia, mentre ovviamente tutti gli altri vengono massacrati. Scontato è anche il ritorno narrativo finale, in cui la protagonista sembra cadere in errori già commessi da altri ma, essendo appunto la più “giusta”, li evita e si salva. Neppure lo splatter è più quello di una volta. Per non rischiare di cadere nei temuti divieti ai minorenni (e senza sedicenni se ne andrebbero i due terzi dell’incasso di questo film) è più il non mostrato che il mostrato. Ma se alcuni film fanno appunto del non visibile la loro forza, in questo caso non è così, il climax crescente di morte e sangue arriva quasi al culmine e poi, inspiegabilmente, si ferma.
Insomma, se proprio si ha voglia di vedere un bell’horror sanguinario, è meglio andare in videoteca e prendere una copia del lavoro di Hooper. L’unica meraviglia di questo film è il rumore della motosega di Faccia di cuoio, l’arma sicuramente più cinematografica che un killer possa mai pensare di poter usare.

Curiosità: L’attore che interpreta lo sceriffo Hoyt è R. Lee Ermey, che si deve essere molto divertito a recitare in una parte che non può non ricordare da molto vicino il suo ruolo più celebre, quello del sadico sergente Hartman in “Full Metal Jacket”.

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