Le ragazze terribili della “Girl Culture”
Negli States la chiamano “Girl Culture”, la cultura delle ragazze, che sta facendo impazzire psicologi, pedagoghi e sociologi. Tutti spasmodicamente impegnati a sfornare a getto continuo articoli e saggi che spieghino il nuovo, allarmante stile di vita delle adolescenti americane, ora tradotto anche in “Thirteen”, stupenda opera prima della regista Catherine Hardwicke. Nel suo film, la Hardwicke dapprima mette a fuoco gli accessori codificati di questa nuova tendenza, cioè: jeans a vita bassa con mutandine a vista; top elasticizzato che al momento giusto si cala diventando minigonna (coi jeans che finiscono in borsa); piercing vari, sulla lingua, sull’ombelico ecc.; tatuaggi vistosi; trucco accurato stile modella e scarpe con tacchi vertiginosamente a spillo. Poi, l’autrice si sposta dai “segnali” alle derivate del comportamento sociale. E qui la cosa si fa davvero preoccupante. Perché le teenagers americane per mantenere quel livello di vita spesso rubano (specialmente nei megastore) e si danno a piccoli o grandi spacci di sostanze stupefacenti, che loro stesse assumono eccedendo anche nell’alcol. Inoltre, si sottopongono a diete massacranti che le portano vicino all’anoressia e praticano un sesso senza precauzioni che le espone ai gravissimi rischi dell’aids. Tutto questo per correre dietro ai miti di ciò che è “fico”: essere sexy, trasgressive, pronte a tutto pur di apparire desiderabili come una Top Model. Un fenomeno lontano anni-luce dalla ragazzina casa-e-scuola che reggeva ancora sino a pochi anni fa. Che quindi ha colto del tutto impreparati mass-media, operatori sociali, corpo docente e genitori. Se a questo – come rimarca bene la pellicola – aggiungiamo lo sfaldamento di molti nuclei famigliari, con donne costrette a fare da madre e padre, con certe situazioni di lavoro precarie e magari qualche parente con problemi di droga, otteniamo una miscela esplosiva cui basta una minima scintilla per esplodere con violenza inaudita. La soluzione a tutto questo? La Hardwicke, col commovente lirismo del finale del film, la trova in una semplice ricetta fatta di dialogo, di ascolto e di tanta, tanta tenerezza. In un film di esemplare bellezza, in cui la condanna ai miti consumistici legati all’edonismo è assolutamente implicita, ma mai declamata. Una condanna, viceversa, molto esplicita nelle dichiarazioni della regista alla conferenza stampa del film, svoltasi in uno splendido salone dell’Hotel de la Ville di Roma. Palesatasi in special modo quando le ho chiesto di spiegare il suo punto di vista sulle cause della “Girl Culture”. «La causa principale – ha tenuto a precisare la Hardwicke – è sicuramente il bombardamento dei media che le ragazze subiscono ogni giorno, con dei modelli esasperati di donne sexy, desiderabili e perfette che loro non esitano ad imitare in tutto e per tutto. Ma le concause dei loro atteggiamenti vanno ricercate anche nei limitati stimoli culturali offerti dalle scuole americane, dove un budget ormai assai ridotto fa sì che si arrivi a classi formate anche da 40-45 studenti. Il che porta molte allieve a distrarsi nell’uso per loro più stimolante dei cellulari, col continuo invio di messaggini o giocando ai videogames, che inevitabilmente le sgancia da ogni interesse per le lezioni. Se a questo aggiungiamo la perdita di autorevolezza da parte delle famiglie, spesso formate da genitori molto giovani, quarantenni che pensano da trentenni, o da madri separate con tutti i problemi del caso, il gap con le adolescenti già “diciottenni” a tredici anni diventa, in molti casi, quasi incolmabile».
* Osvaldo Contenti è autore assieme a Renzo Rossellini del volume “Chat room Roberto Rossellini”, Luca Sossella editore, p. 160, euro 15
A cura di Osvaldo Contenti
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