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Carlotto fugge, ma passa inosservato

Carlotto fugge, ma passa inosservato

Si rischia troppo spesso di confondere il contenuto di un film con il suo stile, il suo valore estetico. Le due cose, nel cinema soprattutto, devono essere legate indissolubilmente, in altre parole, lo stile dev’essere portatore di contenuto. Allora capita che un film che racconti una vicenda umana drammatica, toccante, sia accolto come un buon film solo per l’impegno che si prefigge, per la sua capacità di divulgare un messaggio, di portare alla luce un’ingiustizia, un martire di un sistema e un mondo che non funzionano (ultimo esempio, Veronica Guerin). Il fuggiasco è un classico esempio di film in cui i due concetti viaggiano paralleli, senza mai incontrarsi. Se la storia raccontata è decisamente drammatica e angosciosa, le scelte di regia non riescono a veicolare in modo convincente i toni della vicenda. Ad esempio, lo spaesamento di un giovane che si ritrova da solo, lontano dal suo paese ed accusato di un crimine del quale non ha nessuna colpa, poteva essere reso in modo più creativo e coraggioso a livello visivo. Il film, invece, appare come formato da una serie di unità narrative un po’ slegate fra loro, relative alle varie tappe della fuga e del processo di Carlotto. Sembra che la priorità del regista sia stata più quella di raccontarci una storia, come accade in TV, che quella di raccontarci il calvario di un uomo, la sua impotenza e frustrazione di fronte a un sistema giudiziario sbagliato, di fronte all’arragonza e all’ottusità del potere (eppure anche Carlotto ha partecipato al soggetto e alla sceneggiatura). La parte iniziale del film, con l’arresto e la carcerazione, appare davvero sbrigativa e superficiale, quasi irritante: ci si chiede perchè Carlotto sia stato incastrato, che rapporti aveva con Lotta Continua (argomento solo accennato, ma probabilmente molto rilevante visto il periodo, gli anni anni di piombo, e visto che il ragazzo è stato scelto come capro espiatorio…qui un po’ di coraggio in più era necessario…). Anche nella parte in cui Carlotto è in Messico i buchi nella sceneggiatura sono enormi: perchè viene incastrato? Forse c’entra la relazione con la ragazza giapponese, moglie di un pezzo grosso della politica messicana? Insomma, essere un buon giallista come Massimo Carlotto, non equivale automaticamente all’essere anche un buon sceneggiatore, e ciò sullo schermo si nota. Se poi anche il regista ci mette del suo per rendere il film piatto (basta con i film che scimmiottano le fiction! siamo al cinema!!); il risultato è, per forza di cosa, deludente.

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