Etnografia domestica
Lo stabile di Rue des Oursinis 28 a Parigi è il set prescelto per rappresentare la celebrazione del rito più doverosamente frustrante cui è obbligato annualmente un proprietario di appartamento. Il risultato è sorprendente. Sullo schermo ecco apparire i peggior incubi di ciascuno di noi, amabilmente trasferiti su pellicola e scandagliati da Rémi Waterhouse, in grado di ricreare un campione assai rappresentativo di ciò che circola negli stabili delle nostre città.
Si può dire che la platea dei convenuti si divida, come sempre, virtualmente in due: da una parte gli entusiasti, che finiscono poi per essere i galvanizzati aggressori, dall’altra chi subisce con insofferenza la sevizia assembleare. Così tra un punto all’ordine del giorno e un altro i primi fanno a gara per mettersi in bella mostra esibendo le proprie competenze tecniche su qualsivoglia miglioria da apportare allo stabile, gli altri li assecondano, interessati solo a finire il più in fretta possibile. Inutile dire che il sogno di un rapido epilogo è destinato sempre a naufragare dopo pochi argomenti trattati ed è sempre e comunque stroncato dalle varie ed eventuali.
Come in una piccola Arca ci sono tutti: la vecchia signora sola, la donna in carriera, la vedova, la giovane coppia, il custode e chi lo vorrebbe licenziare, l’intellettuale omosessuale, il dottore, la disoccupata e persino l’associazione benefica del piano terra.
“Se vuoi essere libero impicca il padron di casa” è il motivetto più canticchiato anche dallo stesso furbo amministratore che ammette in confidenza l’ingratitudine del proprio mestiere e dirà chiaramente quello che in molti pensiamo: “non è una grande umanità quella che frequenta le assemblee”.
Tra maniaci dei conti e anziani snob ipercritici non c’è da invidiarlo e non possiamo che approvare quando pronuncia il suo I have a dream, vale a dire “concordia e fratellanza condominiale”.
In Rue des Oursinis ci riusciranno grazie ad una cena che, come in un transfer catalizzatore, appianerà tutti i problemi, complici anche alcuni accadimenti eccezionali.
Allo spettatore così rincuorato dal buon finale rimane la speranza, o l’illusione, di poter assistere egli stesso ad una soluzione così auspicabile nella propria vita, anche se il ricordo, come una doccia fredda, va subito alle catastrofiche situazioni condominiali del Mostro di Benigni o di La comunidad.
Alla fine comunque la spunta su tutti chi, in mezzo a faide e dispetti, è riuscito a mantenere un atteggiamento di pacata compostezza, sufficiente distanza, ironia; chi ha continuato a mettere nelle priorità innanzitutto le proprie storie d’amore; chi ha preso l’iniziativa da sé.
A cura di Lorenzo Lipparini
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