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La metà oscura di Danny Boyle

La metà oscura di Danny Boyle

Dopo il clamoroso successo di Trainspotting, il talento di Danny Boyle sembrava essere lentamente sfumato, prima con lo sbiadito Una vita esagerata, poi con il terrificante (pur non essendo un horror) The beach. Ma fortunatamente Danny ha saputo ripartire dal basso e, dopo un paio di piccole produzioni ben accolte in patria, è tornato al grande pubblico con 28 giorni dopo, brillante horror che strizza l’occhio agli zombie di Romero, con un tocco di realismo in più che lo rende sorprendente tenendo lo spettatore sempre sul filo della tensione. Perché è proprio sulla tensione e sull’angoscia che puntano regista e sceneggiatore, più che sulle scene realmente paurose o splatter (che d’altronde non mancano). E ci riescono più che bene, grazie ad un intelligente uso del digitale e della camera a mano, che fanno risultare reale anche le scene più impossibili. Azzeccata la scelta della musica, composta da John Murphy (Lock & Stock, Snatch); che continua a passare da lunghi silenzi ad accelerazioni ad alto volume. Esemplare in tal senso è la scena in cui Jim si risveglia nella Londra desolata. Boyle dimostra di aver visto molto cinema in questi anni, e le citazioni in questo film sono numerosissime. L’intera storia sembra una variazione di Apocalypse Now, con il viaggio alla ricerca di un esercito dissidente ed impazzito che si conclude in un luogo non luogo fuori dal mondo e dal tempo. I rimandi più evidenti sono poi quelli a Romero e ai suoi zombie. Pur non trattando in questo caso morti viventi a tutti gli effetti, il film può essere considerato una variante dello zombie movie, e Boyle rende omaggio al capostipite del genere nella scena del saccheggio al supermercato e nella figura di Mailer, il malato imprigionato nella casa, che assomiglia clamorosamente a Duane Jones, già protagonista proprio della Notte dei morti viventi. Per quanto riguarda lo zombie movie, insomma, 28 giorni dopo si pone ad un livello decisamente superiore ai suoi recenti predecessori (Resident Evil ad esempio); concedendo meno spazio al visibile e creando tensione piuttosto con l’abilità registica. I malati, infatti, spesso non vengono inquadrati, ma sono per lo più ombre minacciose che osservano da lontano. Solo nell’orgia di sangue e violenza finale Boyle si concede allo splatter, continuando però ad alternare sapientemente visibile e non visibile. Interessante infine l’idea di completare la trama del film con un fumetto regalato con il biglietto del cinema, in cui vengono descritti i ventotto giorni del coma di Jim, che nella pellicola sono solo ricordati attraverso terrificanti (e questa volta si tratta di un horror) flashback. In attesa (e l’attesa si prospetta molto lunga) che qualcuno si decida a finanziare il nuovo zombie movie di Romero, insomma, gli appassionati del genere non si perdano questo 28 giorni dopo. Per tutti gli altri il film è consigliabile solo in caso di coronarie ben allenate, perché la tensione e l’angoscia si conservano intatte per gli oltre cento minuti del film.

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