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cultura dell'immagine e della parola

Dentro allo sguardo

Dentro allo sguardo

Un’idea registica e stilistica assolutamente innovativa e originale sta alla base del film di Sokurov: un unico pianosequenza in soggettiva senza stacchi di montaggio che coincide con l’intera durata del film. Un’esercizio di tecnica cinematografica che apre sicuramente nuovi orizzonti sul modo di fare cinema per la sua carica rivoluzionaria. Lo schermo è nero ed una voce fori campo ci annuncia che senza saper per quale motivo si è ritrovata nell’Hermitage di S.Pietroburgo durante il XIX secolo. Una dissolvenza ci introduce quindi nella sale e nei corridoi del palazzo dando inizio ad un viaggio nello spazio e nel tempo durante il quale il nostro occhio (cioè il nostro punto di vista) rimarrà vincolato a quello del regista e quindi a quello della sua macchina da presa.
Lenti e dolci movimenti di macchina ci guidano in questo viaggio visivo attraverso il palazzo facendoci incontrare un caleidoscopio di personaggi che rappresentano significativamente le tappe più importanti degli ultimi secoli della storia russa: da Caterina II a Pietro il Grande, dagli ultimi zar ignari della rivoluzione che si sta per scatenare ai turisti odierni che ammirano le opere d’arte del museo. La voce fuori campo ci accompagna incessantemente: dialoga con un diplomatico francese del XIX secolo (unico nostro compagno all’interno di questo viaggio); s’interroga su ciò che vede ed incontra, divaga e riflette sulla storia, sull’arte, sulla Russia e il suo destino in un flusso di coscienza continuo. La fotografia, le luci, le ombre e i costumi sono incredibilmente suggestivi e contribuiscono a rendere questo film un’opera veramente stupefacente dal punto di vista tecnico. Ma è proprio questa perfezione a insinuare il dubbio che il film sia solo un puro esercizio di stile, un sfoggio di incredibile maestria e perizia tecnica al servizio di un’idea (il pianosequenza ininterrotto) che è indubbiamente originalissima, ma che rischia di rimanere soltanto tale. Quindi il film va forse apprezzato più per l’idea che ha in sé, appunto, piuttosto che come pellicola cinematografica.
Ma qui entra in gioco anche l’idea che ognuno di noi possiede riguardo al cinema: nel film non c’è montaggio, non esiste una successione di inquadrature o di sequenze che ci guidano all’interno della vicenda; siamo vincolati ad un punto di vista unico che ci conduce lentamente attraverso questa esperienza visiva, che assomiglia di più ad una visita ad una “galleria d’arte” che ad un film vero e proprio. Sokurov mette quindi in discussione le radici più profonde del cinema stesso, per avvicinarsi forse più a qualcosa che sta tra il cinema e la video-arte che alla settima arte vera e propria come siamo abituati a pensarla nella sua forma più canonica. Difficile dare un giudizio veramente obbiettivo di fronte ad un esperimento dei questo tipo: o si rimane estatsiati oppure dopo mezz’ora s’incomincia ad esser un po’ stanchi. Una cosa è certa: non rimarrete indifferenti e non potrete non ammettere che Sokurov possieda spunti di genialità.

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