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cultura dell'immagine e della parola

Il ladro di specchi

Il ladro di specchi

Un uomo di mezza età, dai capelli biondicci, dall’aspetto mite. Porta occhiali con montatura di ferro, i cui vetri nascondono i suoi occhi piccoli, spesso lucidi.
Non è molto alto, e non si può dire che sia un bell’uomo. Però i suoi modi sono gentili; con i suoi clienti egli fa in modo che il suo lavoro, la sua arte, sia perfetta.
L’uomo si chiama Seymour, ma per tutti è “Sy”, il suo lavoro consiste nello sviluppare i rullini fotografici della gente.
Sviluppare i rullini… in realtà egli materializza specchi di felicità immortale. Ché nessuno fotografa momenti di dolore: nessuno fotografa ciò che spera di dimenticare al più presto.
La foto del proprio bambino che spegne le candeline del suo compleanno: non certo quella del suo ginocchio sbucciato.
E’ nei dettagli di ciascuna foto che si può ritrovare per sempre ciò che la memoria cancella; per questo fotografare le persone care è così importante.
Molti pensano che il lavoro di Sy sia pura meccanica: mettere il rullino in un apparecchio che sputa fuori dopo qualche tempo le foto già pronte. Invece le macchine vanno calibrate: i colori delle immagini regolate. Come l’ esecuzione di un brano musicale, lo sviluppo fotografico può essere scialbo oppure vibrante: tutto sta al talento di chi opera.
Ogni famiglia affida senza saperlo le immagini della propria felicità a un estraneo: è anche grazie a lui che un momento di gioia può durare in eterno.
Questo è il mestiere di Sy, che vive maneggiando sorrisi altrui, come un abitante rimosso dei nostri ricordi, di cui nessuno conosce l’esistenza. Uno che c’era, quella sera, alla festa, ma che non essendo stato fotografato da nessuno finirà per spegnersi in qualche vicolo della nostra memoria difettosa.
Perché quest’uomo così importante è solo al mondo: né amici né famiglia. Nessuno che provi il desiderio di ritrarlo, per ricordarsi di lui per sempre.

C’è poi un altro Sy, ci sono altre fotografie: quelle rubate. Immagini prese senza avviso.
C’è il fotografo vampiro che incespugliato allunga il dente- obbiettivo e comincia a suggere. Ogni foto, un frammento d’anima in più. Sy ruba quel che non ha: calore.
La felicità altrui tappezza una parete intera della sua triste tana: la felicità di una famiglia, quella degli Yorkin, a cui Sy ruba le briciole di serenità lasciate sul tavolo.
Una famiglia perfetta. Ma quell’uomo, il padre, non trova mai tempo da dedicare al figlio. Se Sy avesse una moglie del genere, un figlio come Jake, non si comporterebbe così. Non sarebbe distratto da altro. Non butterebbe via un fortuna del genere.
Un tradimento, una perdita: parte il momento di ordinaria follia.

Mark Romanek, già autore-culto di videoclip musicali, ritrae lo straordinario Robin Williams/Sy che si aggira per il centro commerciale in cui lavora con inquadrature da lontano, dal basso, quasi a livello del pavimento. Le onnipresenti, rassicuranti musichette che aleggiano nel negozio, a farne un’oasi di consumistica felicità, contrastano col penoso esistere di un uomo che non è né pazzo, ne cattivo: ma solo, triste.
Il bimbo degli Yorkin se ne accorge, è l’unico che lo degna d’un pensiero.
Gli altri no: lo scansano come un moscone un po’ sozzo.
La violenza, la pazzia… altro che Robin Williams finalmente cattivo!
A Sy sarebbe forse bastato che qualcuno gli facesse una foto; per non esplodere, per mandar giù l’amaro della vita, e aspettare un altro scatto.

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