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La scatola nera

La scatola nera

Dopo che Oliver Hirschbiegel aveva finito di leggere “Black box”, il thriller best seller di Mario Giordano, sapeva che da quel romanzo avrebbe tratto il suo primo lungometraggio. “E’ una vicenda decisamente ricca di suspance e ambientata credibilmente in Germania, senza bisogno di fingere di essere altrove.” Premesse che lo rendono un prodotto facilmente esportabile (cosa rara per un film europeo, che tende a stagnare nelle acque nazionali) e fruibile par qualunque tipo di platea. E bisogna ammettere che funziona questo “Das experiment”: riesce a creare un’atmosfera alienante e claustrofobica, ma soprattutto racconta nel modo giusto l’evoluzione dei caratteri e dei comportamenti dei personaggi. Anzi, per aumentare la verosimiglianza in fase di ripresa il regista ha cercato di ricreare le condizioni dell’esperimento. Infatti le scene sono state girate in ordine cronologico e la fase nel carcere ha costretto la troupe e gli attori a lavorare anche per quattordici ore consecutive negli scantinati di una vecchia fabbrica di cavi di Colonia. Il regista spesso indossava i panni del medico studioso e dava delle indicazioni generiche con l’intento di lasciare all’improvvisazione, ottenendo spesso ottimi risultati. Gli attori hanno realmente subito le pressioni di quella situazione particolare e spesso si faceva fatica ad uscire dal ruolo e tornare alla realtà.
Ruoli. Proprio di questo parla in fondo questa pellicola. Di come un uomo accetta dei ruoli imposti dall’alto al punto da diventarne vittima, di come si scivoli velocemente nella sfera animale se sottoposti a determinate condizioni. Ognuno di noi potrebbe essere potenzialmente il “cattivo” della storia. Non c’è più una manicheistica divisione fra bene e male, semmai il contrario: ci si domanda come definire bene e male.
Un attenzione particolare va data alla fotografia e alle scenografie: entrambe asciutte, semplici, fredde e molto efficaci. Hirschbiegel ha fatto la scelta giusta quando ha deciso di girare utilizzando solo le luci degli ambienti, rinunciando alla patina delle luci artificiali: la pellicola si discosta così da una tipologia di prodotto made in Hollywood e può competere sullo stesso piano, distinguendosi.

Note: ricordiamo che Moritz Bleibtreu ha recitato in “Lola corre” di Tom Tykwer. Il romanzo “Black box” si rifa ad un esperimento realmente avvenuto nella prigione di Stanford nel 1971.


AVVISO:

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