Rosso inferno
Il film parte con l’elogio funebre del governatore della città di Loudun da parte del padre gesuita Urban Grandier. Uomo di gran cultura e carisma, Grandier raccoglierà l’eredità del compianto governatore nel mantenere l’autarchia della provincia e nel frattempo mantenere viva una città sconvolta dalla peste e dallo scontro fra cattolici e protestanti.
E’ la Francia del 1634, con un Re debole e capriccioso, plasmato dallo spietato, demoniaco, dispotico, efferato Cardinal Richelieu che tenterà in ogni modo di imporre il predominio della Chiesa/Stato sul provincialismo.
Grandier, peccatore, donnaiolo, carismatico ma al contempo padre di grande spiritualità è l’oggetto del desiderio delle donne di tutta Loudun, anche e soprattutto delle suore di clausura del convento delle orsoline. Tra queste spicca la figura della dura e frustrata madre superiora Suor Giovanna degli Angeli; menomata da una malformazione, sognatrice, visionaria, costretta alla clausura dal suo aspetto, costruisce nella sua mente un quadro sacrilego ed irreale con il suo amore eterno Grandier.
Tra scene di masturbazione e fustigazioni punitive tra le sorelle Orsoline, ella vive nella speranza di incontrare Grandier e riceverà la sua più grande delusione quando egli non si presenterà alla sua richiesta di essere il loro Padre confessore. E’ qui che esplode la sua follia ed il suo isterismo in un’accusa di possessione del suo amato Gesuita, e rappresenterà l’occasione che Richelieu ed i suoi uomini aspettavano per eliminare lo scomodo Padre. La narrazione diventa cruda, violenta, brutale nel pieno stile della Santa Inquisizione dell’epoca, conferendo al film l’etichetta di film scandalo.
Tutto questo porterà all’emblematica sequenza finale dove Grandier, mai confesso nonostante le torture, osserverà, tra le fiamme del Rogo al quale è stato condannato, il crollo delle mura della città e la parallela totale decadenza morale del popolo di Luodun che lo renderà consapevole del suo fallimento totale.
La narrazione scorre via veloce tra dialoghi profondi, una scenografia tipica degli anni ’70 ed una sceneggiatura molto legata all’omonimo dramma teatrale di John Whiting; la regia si sofferma molto su degli spinti primi piani di Reed e della Redgrave e sfrutta a pieno la loro grande capacità espressiva.
La ricostruzione del periodo storico e dei personaggi sono pressoché perfetti, la crudezza sembra esagerata nel voler esprimere il concetto di inumanità, a volte sembra ridondante.
E’ un buon film, un cult degli anni ’70 e sembrava potesse essere l’inizio dell’ascesa di un grande Oliver Reed che però finirà per perdersi in ruoli di poco spessore, mentre lancia con pieno merito una strepitosa Vanessa Redgrave.
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