Le lacrime di un viaggiatore
E’ la storia di Francisco Manoel da Silva, conosciuto come Cobra Verde, il bandito. La sua è stata una vita di sofferenza e solitudine nelle terre selvagge e desolate del Serto. Solo, contro gli uomini e contro Dio. Il film racconta l’ultimo capitolo della sua saga (perché di una saga si tratta, narrata all’inizio da un vecchio cantastorie cieco, una sorta di bardo dalla voce flebile e triste): la tappa del suo lungo viaggio, l’ultima e la più crudele. Vediamo in principio gli occhi di ghiaccio di Klaus Kinski col viso contratto da un dolore senza fine. Nel cielo spietato due aquile si incontrano per pochi istanti: come Francisco sono legate al cielo e alla solitudine. Quello in cui si muove il protagonista è un mondo, come gli dice la madre sul letto di morte e dolore, che “sta finendo”. E in ogni suo gesto si vede un sentimento di nostalgia, la nostalgia dell’Apocalisse; anche Dio è solo un debole menzognero che finge che il male sia una sua creazione mentre anch’egli, nella sua mediocrità, ne è soggiogato.
In diversi momenti torna insistente il mare, la voce delle onde: per il protagonista, un’anima selvaggia e sola, è un richiamo irresistibile per un mondo altro, il mondo “dove nascono gli uragani”. Non c’è speranza di un’esistenza migliore perché egli disprezza la speranza, forse proprio per desiderarla più intensamente. Questo mondo altro sarà l’Africa, dove andrà a contribuire al più infimo crimine dell’umanità: lo schiavismo. Gli uomini non sono più uomini, sono merce, valgono meno di un animale. Il Benin sarà un mondo diverso ma identiche alla sua terra d’origine resteranno l’odio, la violenza e la sopraffazione tra re pazzi che usano le teste mozzate dei nemici come arredamento e missionari che vendono le loro figlie e danno i sacramenti agli animali.
Ovunque arrivi Cobra Verde c’è un sovvertimento delle leggi naturali, tutto si capovolge, la follia esce dalla terra. Gli unici in grado, forse, di capirlo sono i reietti, gli invasati, i deformi: un nano gobbo che vuole andare “dove nasce il sole”, un ragazzo costretto a camminare a quattro zampe a causa di una malformazione. Individui segnati sia fisicamente che mentalmente ma proprio per questo in grado di intuire una realtà altra, più profonda e spietata ma anche più vera.
Al visionario Herzog non interessa la verosimiglianza storica: infatti ha noleggiato una vera corte con un vero re e Kinski indossa un’autentica giacca napoleonica. Francisco è l’uomo delle contraddizioni: fuoco e ghiaccio, deserto e mare, dolcezza e sangue. Francisco lo schiavista è sconfitto dalla stessa schiavitù che definisce in un crescendo di allucinata desolazione “un elemento del cuore umano per la nostra rovina”. A concludere la pellicola ancora le onde del mare, cioè il luogo del mito, dei sogni, delle pazzie: della perdita di sé.
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