Il passato che ritorna
Luci soffuse, di quello che si rivela un piccolo appartamento, inquadrano una donna (Paolina) che, nell’attesa del marito (Gerardo); prepara una cenetta, che verrà consumata per terra, in totale solitudine e silenziosa isteria. All’arrivo dell’uomo a casa, la tensione tra i due sembra preannunciare delle verità nascoste allo spettatore. Il campanello di questo palcoscenico teatrale (che prenderà sembianze sempre più evidenti nel corso del film) ad un tratto annuncia l’arrivo di un omuncolo di banale e fastidioso aspetto, tale dott. Miranda (B.Kingsley); vicino di casa e soccorritore occasionale del marito che prima di rincasare, sorpreso da un violento temporale, ha avuto bisogno di un passaggio.
A questo punto, una nuova tensione inesplicata entra in gioco: Paolina si cela all’estraneo, ma origlia, facendo gimkane tra un muro e l’altro della casa per captare i discorsi e la voce dell uomo. Ad un tratto, senza che lo spettatore capisca la logica sottesa ai movimenti di Paolina, la cinepresa segue i suoi affannosi spostamenti, mentre esce furtivamente dall’appartamento e s’impossessa dell’auto del dott. Miranda, in cui trova una cassetta di musica che contiene una sinfonia non qualunque: “LA MORTE e LA FANCIULLA” di Shubert (sinf. N°14 in re minore)… è sulle note musicali, che la protagonista ripercorre vecchie sensazioni attualizzate in maniera totalmente inaspettata…
Da qui, il suo ritorno a casa, è anticipazione di una personale vendetta, di un tuffo (che coinvolge a trecentosessanta gradi protagonisti e pubblico) nel suo passato e in quello di tutti i PERSEGUITATI POLITICI, torturati dalla polizia segreta come lei, in quello che nebulosamente viene citato come un paese sudamericano (sarà il Cile, visto che il film è tratto da un lavoro teatrale del cileno Ariel Dorfman?!).
La mimesi teatrale nella scelta registica di Polanski, mette a confronto caratteri precisi, tragici e patetici insieme, dove il “persecutore”del passato (il dott. Miranda, che si rivela essere il medico torturatore della polizia segreta del caduto regime); si trova ad essere “vittima” grottesca di una donna determinata a sfogliare nuovamente le pagine del passato, riaprire vecchie ma ancora sanguinanti ferite per ritrovare se stessa e il marito avvocato, tratteggiato come un perfetto mediocre, incapace di prendere le difese sia della “vittima” sia della “carceriera”, estraneo agli eventi, ma trascinato dentro essi a forza, fastidioso simbolo di umanità codarda e insignificante.
L’ intensità e la passione con cui Paolina lotta da sola contro l’INGIUSTIZIA, la tratteggiano un po’ eroina, un po’ volubile isterica che però alla fine…
Un film nel complesso soddisfacente, a tratti alienante, che non ostenta nessun particolare tipo di pretesa, se non quella di non disperdere l’ attenzione dello spettatore con luoghi, personaggi, luci, che, con un fatto storico grave come quello delle persecuzioni politiche in sudamerica e della relativa omertà che per anni le ha insabbiate, non hanno nulla a che fare. La scelta migliore è proprio un mezzo registico efficace e martellante come il “primissimo piano” senza controcampo, che rende esponenzialmente la SENSAZIONE CLAUSTROFOBICA dei protagonisti nella casa.
Niente da ridire ad un maestro come Polanski che, pur toccando un tema geograficamente e socialmente a lui lontano, stupisce e coinvolge con la semplicità di chi, osservando un evento o un suo svolgersi, non cade in una banalizzazione tematica né in un’ ottimistica soluzione della trama, ma, coerente alla sua disillusa visione nei confronti dell’uomo e del mondo, conclude lanciandoci un paralizzante monito: IL DESTINO UMANO è IMMODIFICABILE.
A cura di
in sala ::