hideout

cultura dell'immagine e della parola

L’oscuro lato dell’Oscar

L'oscuro lato dell'Oscar

La tragica vicenda del tassista Dilawar è il punto di partenza da cui nasce l’inchiesta di Alex Gibney (autore fra l’altro del documentario Enron: The Smartest Guys in the Room, candidato all’Oscar nel 2006) per sviscerare i terribili segreti celati dai reparti militari americani nella guerra al terrorismo islamico. Gli sviluppi degli attacchi dell’11 settembre hanno avuto come reazione, ovvia ma non lecita, che gli Stati Uniti sentissero il dovere di autoproclamarsi difensori della pace e dell’ordine mondiale e, pertanto, di mettersi al di sopra delle regole di ingaggio che normalmente dovrebbero essere rispettate in situazioni belliche.
Le fotografie scattate dai soldati americani durante i soprusi inflitti ai detenuti del carcere di Abu Grahib hanno fatto il giro del mondo, ma sono state viste solo nella loro versione edulcorata, disturbante ma non eccessiva. Sebbene il presidente George W. Bush abbia pubblicamente dichiarato che gli Usa non torturano nessuno, nemmeno il più feroce dei criminali, le immagini parlano da sole e Gibney sceglie di mostrarle senza censura, nella loro spietatezza. Torture fisiche, vessazioni sessuali, umiliazioni, stremanti sedute con ore di musica ad altissimo volume erano usanze comuni fra i carcerieri che avrebbero dovuto esclusivamente custodire i detenuti. Sono oltre trentamila i prigionieri della guerra al terrorismo e solo pochi di loro a oggi sono stati processati. Gibney denuncia però oltre cento morti misteriose avvenute nei centri di detenzione, un terzo delle quali è stato classificato come omicidio: le altre più genericamente suicidio o morte accidentali.

L’America si guarda indietro alla ricerca dell’elaborazione di un lutto che però non è stato accettato e ritorna alla legge del taglione, occhio per occhio, dente per dente. Ma la gente, l’opinione pubblica e il governo preferiscono nascondere la testa sotto la sabbia del deserto iracheno. L’amministrazione Bush è responsabile dell’utilizzo degli stessi metodi di cui sono accusati i nemici, ma la bandiera a stelle e strisce si schiera come paladino delle libertà (secondo la concezione occidentale). Appare ovvio che con questi presupposti sia plausibile che il nemico avanzi le stesse pretese, proclamandosi secondo la propria prospettiva paladino della libertà orientale e islamica. Con queste premesse è impossibile eticamente trovare una soluzione al conflitto. Nascono così le guerre di religione. La storia lo ha insegnato, ma l’uomo è sordo e cieco quando si tratta di comprendere gli errori già commessi.

Con l’aiuto di un rapporto di Amnesty International sugli abusi nel carcere iracheno di Abu Graib, Alex Gibney ha osato spezzare un silenzio colpevole, che accetta torture e censure, gridando al mondo che ciò che sta accadendo non è colpa di poche mele marce, ma è il frutto di una precisa idea politica. L’urlo di dolore per questo sistema è trasmesso attraverso un documentario secco e diretto, realizzato con una tecnica tradizionale di giustapposizione di documenti realizzati sul campo, materiale di repertorio e interviste a testimoni diretti ed esperti di politica internazionale. Gibney interviene esclusivamente come voce narrante e lascia grande spazio alle immagini, che colpiscono al basso ventre dello spettatore. La forza e la violenza della denuncia di Gibney è stata riconosciuto non solo con il Premio Oscar, ma anche con i premi come miglior documentario al Tribeca Film Festival, al Festival di Chicago e nella sezione Extra della Festa del Cinema di Roma.

Curiosità
Nonostante i successi ottenuti nei festival di tutto il mondo, la MPAA (Motion Picture American Association) ha bandito la locandina ufficiale del film, che vede l’ombra di alcuni soldati in lontananza trasformarsi in una bandiera americana. La motivazione ufficiale è che si tratti di un’immagine not suitable for all audiences, ma considerando quello che normalmente viene ritratto sulle locandine di film di fiction (si pensi alla serie Saw, per citarne una) appare evidente di come si tratti di una precisa censura ideologica preventiva.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»