Roma come non l’avete mai vista
Roma, 24 Ottobre 2003. Mentre le bandiere dei sindacati, assieme a quelle arcobaleno della Pace, cominciano ad affollare le strade di Roma, di buon mattino mi metto in viaggio per raggiungere il cinema Quattro Fontane dove verrà proiettata l’anteprima di “Gente di Roma” di Ettore Scola, con relativa conferenza stampa. La metro è inusitatamente poco affollata, certo per via dello sciopero proclamato contro la riforma delle pensioni che avrà il suo culmine a piazza Navona. Quasi quasi vorrei trasgredire dal mio programma mattutino per seguire i tanti compagni che colorano i vagoni della metropolitana con le loro bandiere rosse. La tentazione è forte. Ma assistere al film di Scola e poter interloquire con lui – mi dico – e anch’esso un impegno civile, considerando i temi che il maestro immette costantemente come motore dei suoi film. Quindi, decido per il film. E ne vengo completamente ripagato! Perché la pellicola di Scola è bellissima, emozionante e anche molto divertente, proprio come Roma. In essa, la variegata tavolozza di una città che cresce per senso civico c’è proprio tutta, assieme, ovviamente, ai suoi piccoli e grandi difetti che però alle volte diventano pregi. Ad esempio, quando un certo disinteresse di fondo dei romani fa sì che gli immigrati si sentano addirittura protetti da quella tale indifferenza, salvo rari casi di ipocrita e mascherata intolleranza (come nell’episodio interpretato da Antonello Fassari); o di vero e proprio razzismo, che vanno a colpire i nostri fratelli di altre parti del mondo. In tal senso, il film di Scola è davvero la fotografia di una Roma che sta maturando il concetto di convivenza multirazziale. Ma nel film c’è molto di più, perché, tramite un efficace modo di girare che alterna momenti di fiction a vere e proprie “clip” di vita comune per le strade, entriamo nella realtà della disoccupazione, nei mestieri inventati dai freelance (con l’affabulatore Salvatore Marino); nei falsi stress giovanili (con la divertente Sabrina Impacciatore); nel becero graffitismo (messo alla berlina da un finissimo cameo del grande Fiorenzo Fiorentini); nella grottesca rappresentazione di un imbranato pappagallismo (di un convincente Valerio Mastandrea); nei “girotondi” morettiani, nell’impegno e nel disimpegno politico, in un gay village, nella vita grama dei barboni o in quella ovattata di una star cinematografica (con Stefania Sandrelli che interpreta un’autoironica se stessa); nelle atroci memorie di un’ebrea deportata dai nazisti, nella tristissima condizione di un pensionato destinato all’ospizio (espressa da uno strepitoso Arnoldo Foà); e persino in una conversazione tra defunti (in cui Rolando Ravello è un suggestivo commentatore); per un abbraccio che avvolge Roma con commovente delicatezza, anche grazie alle bellissime musiche di Armando Trovajoli.
Apprezzato appieno il film, in conferenza stampa ho chiesto a Scola per quale motivo avesse scelto di girare in digitale (con tecnologia Sony ad Alta Definizione). «Perché il film – mi ha risposto il maestro – è cominciato il 15 Agosto con le riprese dei balli previsti in una piazza di Roma, quindi il digitale mi è sembrato lo strumento più agevole da utilizzare. Almeno in parte. Perché se si vuole l’alta definizione bisogna usare telecamere che pesano quanto la Mitchell, quindi non meno ingombranti. Ed anche per quanto riguarda le luci, sono favole quelle che si dicono sul digitale, perché ormai anche con pellicole sensibili Kodak da 35mm, di 800 o 1000 Asa, si può fare a meno dell’illuminazione. Però, per un certo tipo di film, e per questo film in particolare, perché per altri non l’avrei fatto, le condizioni suggerivano un tipo di riprese più libere».
* Osvaldo Contenti è autore assieme a Renzo Rossellini del volume “Chat room Roberto Rossellini”, Luca Sossella editore, pagg. 160, euro 15
A cura di Osvaldo Contenti
documentari ::