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Antonio
Colori tenui, dalle tinte pastello, riempiono lo schermo; la luce invade l’obiettivo mentre la voce pacata e calma di una donna matura riempie l’aria di saggezza. Sembra che tutto possa andare bene, la serenità regna sovrana. ‘Can do’, ‘Make it happen’, ‘Proud’ e ‘Fighter’ sono le parole chiave, i claim della campagna di Hillary, prima candidata donna alla Presidenza degli Stati Uniti. Sicurezza e rassicurazione: ecco i fattori sui quali fa leva la ex first lady.
Si ispira, invece, a un vecchio commercial Apple del 1984, la decisa risposta di Barak Obama. Riprendendo l’idea del libro di George Orwell, la Clinton appare come un terribile Grande Fratello, mentre il payoff liberatorio suggerisce: ‘Vote different’. La comunicazione di Obama, più fluida e ammiccante, punta a un elettorato giovane, che non ha bisogno di essere tranquillizzato, ma che necessita invece di essere scosso e stuzzicato.
Non a caso, lo spot successivo è costruito come un vero e proprio videoclip, il cui interprete principale è William James Adams Jr, leader del gruppo The Black Eyed Peas. Numerosi personaggi famosi – da Scarlett Johansson a Cameron Diaz – si uniscono in coro alle parole del loro candidato: ‘Yes we Can’, chiaramente contrapposte al meno deciso ‘Can do’ di Hillary.
Da noi si è scelto un approccio un po’ diverso. A fronte di una campagna affissioni piatta e poco significativa, entrambi i principali schieramenti si sono concentrati su un unico fattore: la musica, con esiti comunque non memorabili. Se i giovani berlusconiani hanno puntato sul registro melodico, Veltroni ha scelto una base già nota, incorrendo tra l’altro in un’incresciosa causa legale. Potenza dello spot: sempre più spesso si sentono per strada le persone canticchiare “I’m PD” in versione Village People e alcuni rispondere in modo accorato e quasi scaramantico “Meno male che Silvio c’è”.
La propaganda, che in passato è sempre stata fondamentalmente sovrapposta al concetto di pubblicità, adesso è diventata una vera e propria disciplina a parte. Tuttavia, sembra che i creativi (professionisti e non), e gli stessi politici, non abbiano ancora capito bene come farne uso. Propongono, dunque, solo messaggi prevedibili, improbabili sketch e canzoncine orecchiabili, senza costruire un’immagine coordinata e soprattutto senza che vi sia alle spalle una strategia di comunicazione coerente, che definisca obiettivi, target e posizionamento del partito. Alla fine, ciò che resta è giusto un ritornello da cantare sotto la doccia che difficilmente segnerà le sorti della campagna elettorale.
In tutta questa confusione finisce per brillare la congruenza di un partito abituato a lanciare messaggi estremi: la Lega, che dai suoi manifesti raffiguranti un vecchio capo indiano proclama serafica: “Loro hanno subito l’immigrazione. Ora vivono nelle riserve. Pensaci”. L’impostazione è sicuramente discutibile, ma, almeno dal punto di vista della comunicazione, è quanto mai coerente e ben tarata sul target.
A cura di Alice Dutto
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