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cultura dell'immagine e della parola

Per vincere non bisogna essere belli

Agenzia: Ogilvy & Mather, Toronto
Cliente: Unilever
Direttore creativo: Janet Kestin/Nancy Vonk
Copywriter: Tim Piper
Art Director: Tim Piper/Mike Kirkland
Casa di produzione: Reginald Pike, Toronto
Regista: Yael Staav/Tim Piper
Musica: Vapor di David Hayman/Andrew Harris

Lo spot Dove vince il Grand Prix 2007. Il film è l’incontestabile prova che anche la moda è fatta di ritocchi. È bene che il messaggio si diffonda: ragazze, basta cercare sulle riviste le curve photoshoppate, mi dispiace dirlo, ma tutte le fotografie di moda sono elaborate. Se ieri c’era Audrey oggi c’è Ayda, interamente costituita da plastica e difetti cutanei, che solo un programma di foto ritocco può modificare.

Dopo la campagna pro-aging di Dove (controcorrente tra i commercial che dichiarano guerra all’invecchiamento), Unilever Canada pone l’accento sul concetto di “autostima”. Lo spot, dopo averci dato prova di quanto sia artificiale la bellezza dei volti 6×6 che vediamo affissi, si chiude con un messaggio che fa riflettere sullo sguardo distorto con il quale osserviamo noi stesse.

Unilever Canada mira al centro del problema: l’autostima, debole o inesistente, delle donne. Ecco perché nasce il Dove Self-Esteem Fund, un programma sponsorizzato dall’azienda che ha lo scopo di cambiare l’attuale definizione di bellezza. L’azione di Dove Canada si sostanzializza in spot (che hanno generato un fenomeno virale su Internet davvero interessante), attività di ricerca e pubblicazione di comunicazioni che vogliono fare riflettere sul concetto di self-esteem, valore alla base del sentirsi bene (nonostante un chilo in più o un naso imperfetto).

Per fare un esempio dello stile comunicativo adottato dall’azienda, riporto alcune considerazioni, di un’ovvietà tanto banale, quanto purtroppo ignorata: “Smettila di paragonarti agli altri.(…)Ricordati che hai un impatto sull’autostima degli altri. Pensa all’impatto che hai sui tuoi amici quando esprimi giudizi ed osservazioni sull’aspetto degli altri”.

Un video mostra come il disagio sia tangibile tra ragazze addirittura pre-adolescenti. Il mito della bellezza ha, dunque, assorbito totalmente le donne. Studiano, fanno carriera, si creano una famiglia, vivono ai duecento all’ora. Ma devono essere seducenti, desiderabili. Quindi belle.

Le donne hanno i capelli grigi, gli uomini “sale e pepe”. Le donne diventano vecchie, gli uomini acquisiscono invece il “fascino dell’età”. Nell’interessante conferenza “L’uomo un abito, la donna centomila” – tenutasi in giugno a Milano presso la fondazione Eni Enrico Mattei -, è intervenuta Benedetta Barzini proprio su questo tema. Riporto una sua citazione di Naomi Wolfe: “La tranquilla ossessione della dieta (…) è prodotto delle volontà di mantenere le donne passive, accondiscendenti e immobili” (da: The Beauty Myth).

E d’altronde, la storia lo dimostra, se si vuole sottomettere ed opprimere un largo gruppo di persone è noto che la fame è l’arma migliore. Perdoniamo Dove Canada per avere sfruttato temi urgenti come i disagi legati al cibo e all’autostima. Se la sua azione resta sempre e comunque commerciale, il messaggio che veicola non solo è positivo, ma anche e soprattutto presente quando il resto dei media, invece, nicchia sul problema.

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