Cannes Lions
Sesto giorno
L’esperienza di Cannes è quasi giunta al termine e già sono trafitta da un’amara malinconia che temo durerà per qualche giorno. È impossibile descrivere nei particolari l’incredibile atmosfera che si respira qui.
Oggi ho passato tre ore a vedere le short list degli spot. Ne ho visti tantissimi. Alcuni belli, altri ancora degni dei fischi del pubblico. Devo veramente ammettere che, come qualità – a livello mondiale – mi aspettavo molto di più. Ci sono state, come in tutte le cose, categorie sopra la media ed altre decisamente meno. I commercial più interessanti sono soprattutto quelli relativi all’abbigliamento, all’entertainment e ai messaggi sociali. Le grandi marche si distinguono sempre al di sopra delle altre, forse perché, avendo più tradizione e, cosa da non sottovalutare, avendo più soldi, riescono a produrre dei film nettamente migliori. Le caratteristiche che dispongono meglio la giuria degli spettatori si concretizzano nell’uso della comicità e nell’impiego dell’elemento emotivo. Solo gli spot che sanno ben sfruttare questi due particolari fattori ottengono scroscianti applausi dalla platea.
Colpisce molto, per alcuni spot, l’uso di una spiegazione iniziale, un antefatto che possa far meglio comprendere il contesto degli stessi. Ma, ugualmente, per le persone che non sono originarie dal paese di produzione del commercial, capirne gli impliciti è sempre molto difficile. Dunque, se il messaggio non è globale non riesce ad essere ben inteso, neanche se preceduto da una spiegazione, e finisce col perdere la sua forza e la sua efficacia.
A ben guardare, si possono notare aspetti comuni agli spot in gara: innanzitutto, il maggior uso di effetti speciali, la creazione di mondi immaginari e addirittura impossibili; inoltre, si usano la fotografia, l’illustrazione ed il virtuale in modo intrecciato ed altamente connesso. Il key frame più frequentemente utilizzato è stato quello di mostrare persone che si buttavano giù da palazzi o montagne e, come nei cartoni animati, si rialzavano come se nulla fosse accaduto.
Tuttavia, solo alcune campagne sono di particolare rilievo: ad esempio, lo spot della Apple che fa il verso alla Microsoft. Due personificazioni del Pc e del Mac si alternano in esilaranti sketch, nei quali il grasso Pc ha sempre la peggio. Di quelle in lizza per il Grand Prix c’è il commercial della Vaseline – crema idratante australiana – che mostra un gruppo di uomini e donne nudi, che imitano nei loro movimenti la vita della pelle. Ci sono, poi, gli spot della Hail e della Dove, che avevamo già recensito e, in ultimo, la serie della Adidas “Impossible is nothing”, trasmessa anche in Italia.
Le campagne più belle sono, dunque, quelle che sanno parlare ad un pubblico internazionale, che non condivide né lingua, né cultura. In questo modo la pubblicità riesce ad essere universale e a colpire direttamente l’attenzione del consumatore, dimostrando il suo incredibile potere di persuasione.
Queste sono le parole che ha usato anche Al Gore, intervenuto al seminario della Young & Rubicam, per definire il ruolo della pubblicità. L’ex candidato alla Casa Bianca è venuto a parlare del problema del riscaldamento terrestre e di ciò che la pubblicità può e deve fare. Oggi, l’emergenza climatica è la più grande sfida da affrontare e la pubblicità può far molto per questo, perché è lo strumento più persuasivo che esista. Le aziende, che sono in parte la causa del problema, devono trovare le soluzioni per questa grave crisi che affligge il nostro mondo, perché oramai è il nostro stesso sistema di civiltà è ad essere entrato in conflitto con le leggi della Natura. La normale reazione umana è quella di far finta che non stia succedendo niente, perchè siamo incapaci di pensare a lungo termine e riusciamo solo a pensare e ad agire nel breve. Dunque, la pubblicità può diffondere il messaggio di pericolo e di presenza della crisi che è già in atto e questo per far sorgere un sentimento comune e condiviso di consapevolezza del problema. Ma deve anche trasmettere le soluzioni che sono state trovate per porre fine alla crisi, in modo che si formi un enorme movimento d’opinione globale che, in un secondo momento, coinvolga in maniera più convincente anche le forze politiche.
Secondo un detto africano: “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, andiamo insieme”. E questo è ciò che è necessario fare: trovare soluzioni globali al problema. Gandhi la chiamava la forza della verità. Annunciando la verità le persone non potranno far altro che unirsi e cercare di porre rimedio a questa situazione. Insieme. La comunicazione è una parte della soluzione, il suo inizio e la chiave di forza per far cominciare questo circolo virtuoso di informazione ed azione. I pubblicitari possono, dunque, fare la vera differenza ed hanno le potenzialità per farla. Devono solo avere coraggio.
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A cura di Alice Dutto
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