Cannes Lions 2007
Quarto giorno
Scoccano le 10.30 del mattino ed io mi introduco nella sala stampa. Inizia la conferenza. La giuria dei Cyber Lions è tutta al completo, schierata ordinatamente di fronte a un’orda di giornalisti assetati di notizie e di commenti. Cominciano a consegnare la lista dei vincitori, che non dovrà essere pubblicata prima delle 21 di oggi. Il Neozelandese Tom Eslinger – presidente della giuria e Direttore Creativo della sezione tecnologie interattive ed emergenti della Saatchi & Saatchi – dice che è stata un’esperienza meravigliosa e che è stato magnifico potervi partecipare. Commentando la campagna vincitrice del Grand Prix – ovvero “Heidies 15 Mb of fame” dell’agenzia Farfar di Stoccolma per la Diesel – dice che è stata subito chiara la valutazione positiva nei confronti questo lavoro. Si è cercato di individuare la campagne che fosse veramente unica e che potesse fungere da linea guida per i Giovani Creativi, che dai lavori premiati sicuramente avranno da trarre ispirazione. Il risultato migliore è stato raggiunto dal lavoro che meglio è riuscito a coniugare tecnologia e creatività.
La giurata Fernanda Romano – Direttore creativo dell’agenzia Lowe di New York – ha sostenuto che un Grand Prix dev’essere qualcosa che possa cambiare le regole del gioco. L’esempio della Nike Plus, che ha ottenuto il secondo posto, è ottimo, perché mette in luce la capacità di unire la musica e lo sport, dando vita ad una comunità di persone. In questo momento, dunque, è lo stesso spazio virtuale a venire verso di noi, non dobbiamo nemmeno più comprarlo, dobbiamo solo viverlo. Ed ecco che sorgono siti come Second Life, dove realtà e virtuale entrano in un connubio quasi perfetto, sono le realtà del Web 2.0. Il lavoro, dunque, è stato molto interessante e peculiare, perché la categoria stessa è in continuo movimento. Anche le decisioni e i criteri che sono stati scelti quest’anno potranno non essere più seguiti, perché è possibile che l’anno prossimo le esigenze dei consumatori saranno così diverse che sarà necessario trovare altri criteri di valutazione.
Dunque, la conferenza stampa finisce ed esco dalla sala un po’ trafelata, ancora qualche domanda in privato ai vari giurati e poi il popolo dei giornalisti si disperde. Tutti corrono verso la Press Room (dove la connessione ad Internet e le bevande sono gratis) per scrivere di corsa tutto quello che hanno ascoltato e poter essere pronti per il prossimo evento.
Ore 12.00: seconda conferenza stampa. Arrivo un po’ in anticipo. Mi rendo conto che i giornalisti si conoscono tutti fra di loro e sono anche molto cordiali e cortesi. Sinceramente, non me l’aspettavo, ma mi fa piacere. Dunque, inizia a parlare il Presidente della giuria dei Press Lions. Annunciano subito la campagna vincitrice: “Soy Sauce” dell’agenzia Saatchi & Saatchi New York, per lo smacchiatore Tyde della Procter & Gamble. Ed ecco che cominciano le polemiche. Qualche giornalista insinua che, forse, la giuria è stata condizionata da una qualche forma di “sudditanza psicologica” – per non dire di peggio – perché la differenza con le altre campagne stampa non sembra poi così evidente. La giuria si è difesa dicendo che, invece, ha scelto questa campagna perché ha voluto premiare il miglior connubio fra un’idea semplice e l’esecuzione della stessa, ovvero l’innovazione nell’uso della pagina stampa. La giuria ha sostenuto di essersi messa nei panni del pubblico, del consumatore e di aver valutato l’impatto che aveva la campagna e le sensazioni che questa trasmetteva. Non ci sono stati dubbi – per loro –, quella era la campagna migliore.
Come dicevano i giurati – con un’intonazione alquanto polemica nei confronti degli altri mezzi – gli annunci stampa, nonostante possano sembrare strumenti a basso coinvolgimento, se efficaci, riescono a catalizzare su di essi la nostra attenzione per ben tre o quattro minuti. Nell’era della zap generation – come l’ha definita Ricardo Chester Direttore artistico della JWT in Brasile – questo può voler dire molto. Da questo presupposto, la riflessione sorge spontanea: non servono campagne super complesse per attirare la nostra attenzione, a volte, basta la semplicità e l’efficacia di una buona idea per colpirci. Quindi, il trend emergente sembra dirigersi verso il processo di costruzione di una marca forte, che proceda anche attraverso la pubblicità e l’uso corretto dei mezzi, per poter ottenere un effetto maggiore e più efficace.
Finisce anche questa conferenza e, adesso, alle domande dirette ai giurati vado anche io. Viene chiamato in causa il giurato italiano Giovanni Porro – Direttore Creativo della Euro Rscg Milano -, che parla della mancanza di vittorie per i creativi italiani. Nessun premio in queste due categorie, neanche un bronzo. E questo forse perché siamo troppo complicati e perché manca una professionalità condivisa. Ci vuole un’idea semplice, di sintesi, e noi italiani siamo sempre troppo complessi, vogliamo dire troppe cose in troppo poco spazio. Non siamo in grado di semplificare. Era un risultato che già ci si aspettava, perché i nostri lavori non coincidono con i criteri di giudizio internazionali.
Secondo alcuni è un problema di clienti che hanno le aziende italiane. Essendo troppo prudenti, o troppo poco esperti del mondo della comunicazione, si fossilizzano in posizioni stabili e poco rischiose. A me sembra una scusa. Secondo me è un problema di linguaggio. Anche di linguaggio, o meglio, di mentalità. Se guardo le campagne italiane, la maggior parte sono italiano-centriche, si usano dei testimonial ed impliciti che non sono comprensibili a livello mondiale, ma solo a livello locale. È come se continuassimo a parlare dialetto, quando tutti gli altri stanno già conversando in Esperanto. La via mi sembra difficile, ma, forse, basta che iniziamo con qualche esercizio di grammatica.Così, ritorno in sala stampa, Internet va lento perché tutti sono connessi. Non posso caricare l’articolo. Però, l’esperienza è stata bella e il tempo, qui, sembra volare.
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A cura di Alice Dutto
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