Il piccolo mostro
Felice è l’uomo del verderame, il custode della casa di campagna dove il piccolo Michelino trascorre le estati con i nonni, ma anche il mostro immaginario che accende la sua immaginazione fanciullesca con storie agghiaccianti. Ma quando quest’orco bonario si avvicina al bambino rivelandogli: «Michelín, sunt adree a perd la memoria», quest’universo di storie sembra riversarsi nella realtà, e, in un viaggio alla ricerca dei ricordi perduti, si aprono finestre in un mondo fantastico popolato di lumache carnivore, conigli giganti, fantasmi francesi, soldati nazisti, esuli russi… Così, nell’estate del 1969, Michelino si trova catapultato in una di quelle avventure che da sempre leggeva nei suoi romanzi preferiti.
In effetti ci troviamo di fronte a un narratore affatto strano. Un saputello di 12/13 anni che discorre tranquillamente di Puskin e Poe, Lukács e Adorno, Stevenson e Hoffmann, e rigetta con schifo gli sceneggiati televisivi dell’epoca. Queste cose non si fanno, ma viene proprio da pensare che questo Michelín che si assume la responsabilità della parola fin dall’inizio (e poi in tutto il corso del romanzo si prenderà a cuore le parole dimenticate da Felice) e ci conduce nel labirinto dalle pareti mobili di un racconto che si muove tra lo storico e l’horror, il mistery e il giallo, ecco, viene da pensare che questo bambino sia senza ombra di dubbio una proiezione decisamente esplicitata del nostro Autore Michele Mari. Ma proprio per questo risulta affascinante che la travolgente passione affabulatoria dello scrittore milanese passi attraverso le labbra di un ragazzino non ancora adolescente. In sintonia con le fosche sfumature gotiche che richiamano alla memoria proprio le atmosfere dei romanzi prediletti di Michelino, è quasi divertente pensare che Mari si sia trasformato in una sorta di dott. Frankenstein e abbia ricucito assieme le membra del tradizionale romanzo d’avventura, giocandoci un po’, e ottenendone come risultato uno spassoso pastiche post-moderno dalle cuciture a vista.
Detto questo, ci si trova davanti a un buon libro, accattivante e divertente, ma viene tuttavia da chiedersi perché in questo bel percorso di costruzione della casa degli orrori (se la mente è una casa e nelle stanze vi abitano i ricordi, la casa/mente di Felice è proprio un orrore, un colabrodo) venga alla fine sottomesso a una neppure troppo velata critica del mezzo televisivo quale Male incarnato nella/della società contemporanea, secondo una logica ormai sorpassata e un po’ bigotta. Certo, dando uno sguardo a molta Tv generalista ancora oggi ci si può accorgere della spazzatura (termine ancora una volta abusato) che vi si trova.
E se ci facessimo tutti una risata?
Sarebbe possibile col tanfo che arriva proprio dentro casa?
Si resta nel contrasto, come nel giudizio su questo romanzo. Che in ogni caso è un bel romanzo.
L’autore
Michele Mari è nato a Milano nel 1955 e insegna letteratura italiana all’Università Statale, sempre a Milano. Tra i suoi libri più famosi: Di bestia in bestia (Longanesi 1989), Euridice aveva un cane (Bompiani, 1993) e Rondini sul filo (Mondadori, 1999).
A cura di Michele Marcon
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