Meno venti: un’italiana a Berlino – Parte 3
Se il buongiorno si vede dal mattino, questo 2012 sarà avaro di buoni festival. Lo scorso anno tra Berlino, Cannes e Venezia si sono visti un sacco di buoni film. Non a caso i tre vincitori (rispettivamente Una separazione, The Tree of Life, Faust) continuano ancora oggi a riscuotere premi e riconoscimenti (tra cui diverse nomination ai prossimi Oscar). Quest’anno invece, dopo tre giorni passati a Berlino, primo evento della stagione, i buoni titoli scarseggiano. E ve lo dice una che ieri ha visto cinque film, uno di seguito all’altro, senza fare distinzione tra sezione, provenienza e direzione, pur di non dover restare fuori da una zona riscaldata neanche per un attimo. Le temperature continuano ad essere impetuose, come il sospetto che una selezione così scarsa, non sia tanto un cattivo lavoro di scouting, quanto lo specchio di un basso livello produttivo.
In fondo, come per il vino, non possono esserci sempre annate buone. Come per il nettare degli dei, anche i film cambiano a seconda della motivazione del “contadino” che lo ha fatto crescere. Una storia da raccontare è un seme da accudire e l’ambizione alla regia può essere un fertilizzante pericoloso. I, Anna, presentato in Berlinale Special, è il chiaro esempio di un prodotto geneticamente modificato per assomigliare a un thriller di fine eighties, con un miscast imbarazzante (Charlotte Rampling anziana fatale, Gabriel Byrne detective gentile) e finisce per essere un film… per nessun palato. A differenza di Shadow Dancer la cui trama da Ira Style Crime fa preludere a un prodotto che sa di tappo e invece ci si ritrova per le mani una bottiglia per intenditori (regia fiction del pluripremiato documentarista James Marsh). Altro bouquet per Captive di Brillante Mendoza, in concorso, il cui raspo, ben nutrito, germoglia nella giusta direzione e si trasforma in un frutto, amaro e di lenta digestione forse, ma con un sentito scopo narrativo. Ovviamente è già in predicato per un premio, quanto meno alla grande interpretazione, come d’habitude, di Isabelle Huppert.
Poi ci sono le birre, prodotti che (in)spiegabilmente non subiscono le annate, come il greco Meteora che si iconizza su idee preconcette tra senso di colpa, peccato e sesso tra preti e suore (leggesi: bevanda da festival). E proprio perché siamo in Germania, mi chiedo: ma perché “il succo di luppolo” non ha le annate? In fondo se si tratta di un prodotto della terra, perché non si modifica in base al sole che ha preso o al clima che ha subìto? Misteri da sondare, prodotti da testare.
A cura di Sara Sagrati
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