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cultura dell'immagine e della parola

Torino Film Festival
Diario, 17 novembre

Una scena di NordIl Torino Film Festival nella sua quinta giornata di rassegna si alza con una buona notizia. La bocca del lupo di Pietro Marcello, primo film italiano in concorso, sarà distribuito da Bim e in televisione da Raicinema, che ha comprato anche i diritti di La bella gente, di Ivano De Matteo. Altre case distribuzione si sono aggiudicati i diritti di Bronson di Nicolas Winding Refn assieme a film precedenti dell’autore danese, mentre We Can’t Go Home Again, uno degli ultimi film di Nicolas Ray, inedito in Italia, potrebbe essere acquisito da Fuori orario. Non è finita qui: La Sacher Film di Nanni Moretti, che già distribuisce uno dei film del concorso, Nord del norvegese Rune Denstad Langlo, sta chiudendo l’acquisto di Breaking Upwards, dell’indipendente americano Daryl Wein. Il Torino Film Festival dunque, come ha dichiarato Amelio, funziona anche come “Torino Market Festival”, e nel caso di alcuni film (come il documentario di Pietro Marcello) non può che fare una grande gioia.

L’altro elemento che rende frizzante il clima è l’arrivo della vera (e forse unica) stella del antisensazionalistico TFF diretto da Gianni Amelio: Francis Ford Coppola. Già sceso questa sera a Torino, il regista americano domani mattina sarà atteso per una conferenza stampa e poco dopo, in serata, sarà premiato dal TFF con il Gran Premio Torino, appena prima la proiezione in anteprima della sua ultima fatica: Tetro (titolo italiano Segreti di famiglia). Coppola soggiornerà in una suite del fastoso albergo Principi di Piemonte, nella stanza riservata di consueto al Presidente della Repubblica. Un letto dalla modica cifra di 5000 dollari a notte.

Nel frattempo sono continuate senza sosta le proiezioni. Stasera in concorso si è presentato Nord, del norvegese Rune Denstad Langlo, al suo primo lungometraggio. Il film, che già fece capolino all’ultimo Festival di Berlino per la sezione Panorama, è una sorta di road-snow-movie, immerso totalmente nel bianco – quasi accecante – delle montagne Norvegesi. Un’ambientazione glaciale e dalle distanze immense, dove tutto appare pulito, senza macchia, rarefatto. Al centro della trama, Jomar, un disadattato, pigro e vizioso, che oltre agli attacchi di panico soffre di cecità temporanee dovute ai riflessi della luce sulla neve. La paura di guardare la realtà della sua vita e di staccarsi dal limbo asociale che si è costruito, si scontrerà con la voglia di incontrare il figlio mai conosciuto e che si trova in uno sperduta località nell’estremo nord del paese.

Prima in motoslitta e poi con gli sci, attraverserà quasi 900 kilometri di discese e salite innevate, incontrando personaggi surreali ma affascinanti, alcuni dei quali irresistibilmente ironici. Saranno proprio loro, come oasi in un deserto di neve, che aiuteranno ad alimentare in Jomar la forza necessaria per salire quell’ultima montagna che si frappone alla sconfitta delle sue paure. Dopotutto “se non andassi verso Nord andrei verso Sud”, svela una battuta del protagonista. Non ci sono vie di fuga laterali, insomma, né punti di riferimento, nella deliziosa metafora di vita del film. Non esistono nemmeno luoghi dove nascondersi, che prima o poi finiscono distrutti (bruciati). La sfida con sé stessi è frontale e decisiva: o si procede avanti o si ritorna indietro. Sconfitti. Anche per questo – oltre che al susseguirsi travolgente di dialoghi al limite del paradossale – Nord scorre come una commedia piacevolissima, ma che nel complesso nasconde qualcosa di più che mero intrattenimento. Con quella ambita discesa finale, la più bianca di tutte, che ha il sapore della liberazione.

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