Torino Film Festival
Diario, 13 novembre
Aleggia ma non sembra non essersi materializzato ancora. E’ il 27° Torino Film Festival.
La sensazione di attraversare un fantasma sia ha fin dalla prima mattina: alle nove e mezzo siamo appena in quattro davanti alla Sede della Rai di via Verdi ad aspettare che l’ufficio accrediti apra per consegnarci i pass. Non c’è la fila delle grandi occasioni in questa fredda mattinata piemontese. Con la consueta - quasi sonnacchiosa – discrezione che l’ha resa famosa, la città sembra iniziare a vivere quasi indifferente questo appuntamento, quasi per compiacere il nuovo direttore artistico Gianni Amelio, che più di una volta alla vigilia non ha certo elogiato il sensazionalismo delle scorse edizioni (a Nanni Moretti saranno fischiate le orecchie). E che i giornalisti arrivati sotto la Mole non siano un esercito lo si capisce anche verso sera, in sala stampa, con i pochi posti occupati alle postazioni.
Eppure, anche se fra pochi intimi le proiezioni sono state piacevoli. Zion and His Brother, presentato nella sezione Festa mobile, soprende per diversi aspetti. L’israeliano Eran Merav riesce a fotografare un dramma familiare nella periferia di Haifa, e lo fa con un realismo quasi spietato, senza fronzoli, riuscendo comunque a coinvolgere il pubblico. La fragilità dei valori e, su tutti, quello della propria famiglia, sarà elaborata da un quattordicenne alle prese con l’amore-odio per il fratello e con i sensi di colpa per un incidente drammatico che segnerà il suo cambiamento. E se c’è tempo per dedicarsi a una retrospettiva d’autore, non si poteva mancare a una proiezione del danese Nicolas Winding Refn, che finalmente arriva sotto i riflettori anche in Italia. Bleeder, in particolare, è uno dei tanti gioielli che il giovane regista ha collezionato in questi anni, (oltre alla più conosciuta trilogia di Pusher). Il film è solo il secondo lavoro di Refn, ma già si nota la sua irresistibile unicità: da commedia grottesca Refn arriva ad esplodere nella violenza più disturbante, incubando l’allarme e la catastrofe, minuto dopo minuto, con una maestria notevole nell’uso della macchina da presa e delle musiche. Alla fine l’unica salvezza in cui cullarci sarà la follia e il resto affogherà in un bagno di sangue (infetto).
Piacevoli e perfino sorprendenti le poche visioni, dunque. Peccato che le sale siano rimaste semivuote. Unica eccezione sembra essere stata la proiezione di Gigante, Orso d’argento a Berlino, che fa tutto esaurito quasi venti minuti dall’inizio (seppur nella più piccola sala del circuito). In conclusione tutto fa pensare che si aspetti la festa d’inaugurazione al Teatro Regio (con la proiezione in anteprima nazionale di Nowhere Boy di Sam Taylor Wood) per iniziare a contarsi davvero e varare finalmente la nave. Oggi, al massimo, anche se con eleganza, si sono calati solo gli ormeggi.
A cura di Daniele Lombardi
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