Schegge da Cannes
19 maggio
Scheggia 1 di Andrea Giordano
Ecco arrivare un altro giorno molto atteso sulla Croisette, quello di Pedro Almodóvar e di Penélope Cruz, sbarcati a Cannes per presentare Los abrazos rotos (Gli abbracci interrotti), film in concorso. Il regista spagnolo, (per lui terza volta in concorso, dopo aver vinto nel 1999 il premio come miglior regista per Tutto su mia madre e nel 2006 quello per la miglior sceneggiatura per Volver), si presenta con la sua musa più rappresentativa, il fresco Premio Oscar, Penélope Cruz. Un film brillante a tratti, ma anche molto equilibrato nei toni. Un regista, diventato cieco a causa di un incidente in auto, si trova a (ri)affrontare il suo passato. La Cruz (quarto film con il regista), interpreta un aspirante attrice, amante di un ricco facoltoso, che si innamora proprio del regista, un amore che però verrà ostacolato nel momento più importante. Una storia d’amore quindi, ma anche “una metafora politica che sollecita a non dimenticare il passato”, come ha detto il regista in sala stampa. “Nella storia del protagonista c’è la metafora della Spagna, un Paese che ha dovuto dimenticare il passato, una Spagna che è da oltre trent’anni un Paese democratico. Recuperare questi ricordi è oggi indispensabile”. E se la Cruz è sempre più brava, Almodovar lo è ancora di più. Los abrazos rotos è un film complesso, ma anche un viaggio autentico, comprensibile per alcuni, a cui è piaciuto molto, incomprensibile ad altri che lo hanno completamente bocciato.
Vedremo cosa dirà il pubblico stasera, che dovrà giudicare anche il film di Marco Bellocchio. Insomma una bella scelta anche per la Giuria che a questo punto dopo l’ottima accoglienza per il Looking for Eric di Loach, le buone prospettive di Fish Tank e Un prophète e l’imminente arrivo di Tarantino e Haneke, comincia a dover fare veramente selezione. Ma è una giuria atipica, strana, perversa, quindi l’Anticristo di Von Trier potrebbe anche non essere totalmente bandito.
In serata è il turno del film di Alain Resnais, il grande “vecchio” del cinema francese, che presenta in concorso il suo Les herbes folles. Un film molto semplice e spiritoso nella narrazione: da un banale furto, nasce l’amicizia tra una donna (la derubata) e un uomo di mezza età (colui che le ritrova il portafoglio). Umorismo di battute, a tratti esilarante, per una pellicola che riflette però in maniera sottile e raffinata ancora sui sentimenti, come era già successo per Cuori 3 anni fa (André Dussollier era presente anche lì), e che fece vincere a Resnais il Leone come miglior regista a Venezia. Qui a Cannes erano 29 anni che Resnais non era in concorso, l’ultima volta fu infatti nel 1980 con Mon oncle d’Amérique, che vinse per altro il Gran Premio della Giuria. Un film che convince per quasi tutta la durata, eccetto per il finale, incomprensibile. Ma poco importa il grande leone sa ruggire ancora.
Scheggia 2 di Giampiero Raganelli
Mentre fa ancora discutere Antichrist di Lars Von Trier, che ha spaccato in due il pubblico festivaliero, sbarca sulla Croisette Pedro Almodovar con il bel film Los abrazos rotos, che parla di uno scrittore cieco e del suo misterioso segreto. Il regista spagnolo ha strutturato il film come un thriller, con i temi della doppia identità e del riemergere di un oscuro passato, con l’alternarsi di due piani temporali, il presente e gli anni Ottanta, e con un meccanismo a incastro dove tutto torna solo alla fine. Almodovar vi infonde tutto il suo amore per il cinema, costellando il film di riferimenti cinematografici che vanno da La donna che visse due volte, a quelli più espliciti di L’occhio che uccide, citato ironicamente, e Viaggio in Italia, il film che Roberto Rossellini costruì su Ingrid Bergman, di cui era innamorato, cosa che rieccheggia la situazione di Los abrazos rotos. Ma Almodovar fa anche una riflessione metalinguistica: il protagonista é uno scrittore e un regista, un narratore di storie, e il suo film, nel film, sembra proprio una delle commedie strampalate del primo Almodovar, ancora lontano da quella maturazione artistica che l’avrebbe portato a opere come questa.
Da segnalare anche, per Un certain regard, il divertente film collettivo rumeno, Amintiri din epoca de aur (Racconti di un era dorata), un’operazione il cui merito é di Cristian Mungiu, vincitore della Palma d’Oro nel 2007 con 4 mois, 3 semaines, 2 jours. Si tratta di una serie di storie, basate su leggende metropolitane, ambientate nell’epoca della dittatura di Ceausescu. Situazioni bizzarre e comiche, da cui trapelano pero’ situazioni di miseria, restrizioni, censura all’interno di un clima da grande fratello. E’ arrivato finalmente il tempo in cui ci si puo’ ridere sopra.
A cura di Andrea Giordano
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