Schegge da Cannes
15 maggio
Tira bruttissimo tempo oggi a Cannes e non solo per quanto riguarda le condizioni metereologiche.
Oggi in concorso é stato presentato Bright Star, l’ultimo film di Jane Campion. Si tratta di un film in costume, ambientato nella Londra del 1918, che racconta dell’amore segreto del giovane poeta John Keats e di una sua vicina di casa. Una passione turbinosa, che vede protagonista uno dei massimi esponenti del Romanticismo, potrebbe prestarsi a spunti interessanti. Invece la regista neozelandese risolve il tutto con la fotografia stucchevole ed estetizzante, con le facili simbologie di fiori e farfalle e con pesantissimi monologhi in poesia. Lezioni di piano e Un angelo alla mia tavola sono solo un pallido ricordo, ma questo lo sapevamo già.
Cose più interessanti si sono viste ieri nella sezione Un certain regard. C’era grande attesa per l’iraniano No One Knows About Persian Cats, ma più per motivi extracinematografici. Il regista Bahman Ghobadi é balzato all’onore delle cronache per essere il compagno della reporter Roxana Saberi, recentemente liberata dalla sua detenzione in Iran. Lei non c’era alla presentazione, come previsto inizialmente, ma è stata salutata affettuosamente dal regista. Il film é una docufiction sul mondo della musica underground in Iran; racconta di due amici che, usciti di prigione, fondano un gruppo e, a causa delle restrizioni alla libera espressione nella società teocratica, cercano di emigrare clandestinamente. L’Iran moderno con le sue profonde contraddizioni, i grattacieli hight tech e il regime opprimente, é il protagonista di questo bel film, raccontato con una regia piena di invenzioni e con bellissime scene stile videoclip.
Anche il giapponese Air Doll, sempre per Un certain regard, é un’opera degna di nota. Il regista Koreeda Hirokazu racconta di una bambola gonfiabile che, improvvisamente e magicamente, prende vita e diventa, almeno in apparenza, una donna vera. Niente di morboso, come si potrebbe pensare, e nemmeno la solita storia di solitudine, visto che la bambola esce di casa e si costruisce una vita, indipendentemente dal suo proprietario. E’ la storia delicata di un soffio vitale che prende un oggetto inanimato, un richiamo allo shintoismo, la religione animista nipponica, come nella tradizione della cultura pop giapponese, in cui anche le macchine possono prendere vita, sia nei robottoni giganti degli anime, che in quelli deliranti e grotteschi del film Tetsuo di Tsukamoto Shinya. Ma Koreeda va oltre, dando dignità di essere vivente e pensante, proprio a un oggetto concepito come surrogato del corpo femminile.
A cura di Giampiero Raganelli
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