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cultura dell'immagine e della parola

Milano Film Festival: Inaugurazione

Alisa e Sasha, protagonisti di RusalkaLa folla variopinta colora la piazza, risate e tintinnare di bicchieri accolgono il visitatore assetato di cinema. Per entrare nel teatro Stehler bisogna superare la fitta corte di giovani festanti che gremiscono il sagrato: impresa non ardua, sebbene la pratica dello slalom tra le figure compatte necessiti di una precisione certosina. L’affluenza è notevole: in platea non si trovano due poltrone vicine, se non negli angoli più remoti della sala.

Tre giovani in abiti casual augurano il benvenuto, illustrando in due lingue lo svolgimento della serata ad un pubblico chiassoso, che, in molti casi, non ha ancora preso posto. Poi è il buio. Un buio la cui omogeneità è spezzata da alcune difficoltà del proiettore.

Finalmente, dopo qualche tentativo, viene proiettato il corto animato inaugurale di Terry Gillian, Storytime. La prima opera dell’autore è prevedibilmente carica di umorismo grottesco, di paradossi e gusto dell’assurdo. Le figure vecchio stile contrastano con il non-sense che le permea, ancora molto attuale.
Ma non sono solo le immagini ad essere graffianti: un fastidioso fischio proveniente dalle casse accompagna tutta la proiezione, quasi a voler rimandare, anche sonoramente ai tempi del grammofono.

La proiezione successiva è invece completamente diversa: si tratta di un lungometraggio russo, Rusalka (Sirena), di Anna Melikjan. Il film si presenta inizialmente come uno degli inflazionati quadri di una realtà disagiata, in cui una bimba senza padre vive in una baracca con la madre e la nonna.

Alisa, piccola “sirena” proveniente dal mare, ha poteri particolari che le permettono di far accadere ciò che desidera intensamente. Ma ciò non basta per superare la solitudine e la miseria in cui vive: sarà necessario trasferirsi a Mosca per risollevare parzialmente le proprie sorti.
Nella capitale russa si svolge la seconda parte della vicenda, dove ironia e amarezze si intrecciano, rendendo la visione maggiormente godibile. La narrazione spicca il volo, giusto in tempo per un finale-shock, che scaravementa lo spettatore nella malinconia e nella frustrazione.

“La felicità di un istante vale un’intera vita”, questo forse è il messaggio veicolato dalla pellicola. Sarà, ma ci ha lasciato con l’amaro in bocca. Meglio quindi andare a brindare sul sagrato, ad affogare la negatività in una marea festante, dove nessuna sirena potrà importunarci.

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