Festival di Locarno
11 agosto
Due grandi emozioni regalate da Locarno. Si tratta però non di film contemporanei bensì di due omaggi. Brutta cosa se una manifestazione come questa è costretta a diventare una sorta di festival del cinema ritrovato per compensare la scarsa offerta di opere presentate.
Il primo di questi omaggi è al grande maestro Luigi Comencini, scomparso lo scorso anno. La Fondazione Cineteca Italiana di Milano, che lo ebbe tra i suoi fondatori, ha presentato il restauro di un suo film relativamente inedito. Si tratta di Und das am Montagmorgen (1959), film tedesco mai distribuito in Italia. È la storia di un direttore di banca, dalla vita ordinata e tranquilla; tutto salta per aria quando una mattina non trova parcheggio e decide di non andare più al lavoro e di rimanere a casa a dedicarsi ai trenini elettrici. Ma la sua esisentenza verrà ben presto forzatamente ricondotta nei binari della “normalità”. In una commedia agrodolce, Comencini racconta la storia di una fuga dalle convenzioni sociali nella disciplinata Germania.
Altro capolavoro che si è potuto vedere è un muto del grande cineasta giapponese Ozu Yasujiro, Sono nato, ma… (Umarete wa mita keredo, 1932), uno dei classici film nipponici dedicati al mondo dell’infanzia. Questa opera è stata presentato con l’accompagnamento musicale di un’orchestra in occasione del ventennale della casa di distribuzione, specializzata in film non occidentali, Trigon-film.
Prevedibile “sola” invece il film diretto da Alessandro Baricco, Lezione 21, presentato in Piazza Grande. La lezione 21 del titolo è quella di un eccentrico professore universitario inglese e riguarda la genesi della Nona sinfonia di Beethoven. Il professore è misteriosamente scomparso e da questa base prende piede il film, che si trasforma subito in un delirio onirico. La Nona di Beethoven, come spiega il celebre scrittore e ora neoregista, è uno dei capisaldi della cultura occidentale, come puo’ esserlo la Recherche di Proust o le Metope del Partenone. La grandezza di queste opere è un imperativo morale che ci viene insegnato, come tale, dalla scuola. Lo scopo del film, strutturato come una sinfonia, è quello di rimettere in discussione questo monumento della musica, evidenziando anche le sue debolezze. La scrittura pomposa di Baricco ben si adatta, come evidente per Novecento, a narrazioni teatrali fondate sull’evocazione. Nel fare cinema, lo scrittore narratore decide di conservare, nell’oggettivazione filmica, dei punti di narrazione interni, personaggi che raccontano, e anzi di moltiplicarli. Il risultato è un pastrocchio ridondante che vanifica le ambizioni di partenza.
Decisamente meglio il film che lo ha seguito in Piazza grande, The Eternity Man del regista inglese Julien Temple, autore di Le ragazze della Terra sono facili (Earth Girls Are Easy, 1988) e Sex Pistols – Oscenità e furore (The Filth and the Fury, 1999). Si tratta di un musical di appena un’ora, ambientato in Australia, che racconta di un personaggio realmente esistito, un veterano della Prima Guerra Mondiale che scriveva sui muri e sulle strade di Sidney “Eternity” con il gesso. Il suo scopo era quello di ricordare ai concittadini il loro essere creature mortali. Temple confeziona un’opera visimamente delirante con un incipit strepitoso che rimarrà negli annali della storia del musical. La sua è comunque una follia visionaria perfettamente controllata. Non è certo uno che si è improvvisato regista l’altro ieri.
Nel concorso internazionale è stato presentato un interessante film sudcoreano, Daytime Drinking, opera prima di Noh Young-Seok. Si tratta di un road movie che vede protagonista un ragazzo, cui succedono numerose disavventure. Come da titolo, i personaggi sono spesso dediti a consumare bevande alcoliche, sia lo whisky sia il tradizionale soju. Lo stato di ebrezza serve a mettere in scena la loro personalità autentica. Come spiegato dal regista, in Corea l’etilismo non è una cosa riprovevole e tantomeno è considerato una piaga sociale; non vi sono divieti sul consumo, a parte quello ai minori, o campagne disincentivanti, confermando così il luogo comune che i coreani bevano come spugne. Prosit!
A cura di Giampiero Raganelli
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