La mia prima volta
Venezia, giorni 3 e 4
Questi due giorni sono durati il doppio, legati uno all’altro da tre film di guerra, De Palma alle otto e trenta, Paul Haggis alle ventidue e trenta e Ken Loach il mattino dopo alle otto e trenta. Una linea è passata attraverso queste due giornate, fatta delle parole e delle immagini dei soldati in Iraq per Reducted e In the Valley of Elah: una confusione totale tra i due film che hanno aperto e chiuso la mia giornata, riprese digitali, internet, immagini rifatte, riviste, che documentano e rappresentano una finzione, che ne esprimono la verità politica e sociale, che si schierano, che rivoltano la bandiera, che spazzano via ogni regola del vivere civile perchè devono descrivere la guerra.
Le immagini si sfuocano e le ore si confondono. Ora non ricordo più cosa c’è stato tra il finto documentario di De Palma, le sue fotografie “riprese dalla realtà” (ma è la realtà del cinema, immagini scioccate dalle deflagrazione dell’undici settembre) che sono pura finzione, racconto quindi, il modo migliore, forse l’unico modo rimasto per poter raccontare la realtà della guerra in Iraq. La scoperta che nella Valle il gigante Golia viene sconfitto dal piccolo Davide, figlio inviato dal padre a combattere la sua stessa paura, sacrificato, messo in pericolo. Ma sono le immagini a fare la storia, ciò che si vede è ciò che viole essere rappresentato e io, in questo luogo dove Vedere è talmente importante da richiamare gente da tutto il mondo, non riesco a fermarmi per capire cosa sta succedendo, dov’è la guerra, che cosa stiamo vedendo. La finzione, il racconto, l’elaborazione sociale e politica di un lutto in corso, un ritorno al trauma del Vietnam, un abisso di incoscienza, un’incapacità di discernere il film dalla realtà, l’immagine telegiornalistica dallo spettacolo, il dolore di una ripresa cinematografica dallo ferita sul corpo di un essere umano. Occhi troppo piccoli per capire quale sia la potenza della rappresentazione della guerra (si dice che nessuno sarebbe andato sulla luna se non ci fosse stata la possibilità di una ripresa televisiva. Non è forse la stessa cosa per le nostre guerre contemporanee?), e quanto rischiamo di diventare ciechi di fronte alla disperazione economica e sociale in cui la gente vive nel nostro Primo Mondo: la lotta per il lavoro diventa sanguinaria quanto lo stupro “di guerra” di una bambina di 15 anni, solo, probabilmente, meno “spettacolare”, meno “spendibile”.
In tutto questo, ho capito che Venezia mi si è consegnata, in un certo senso: mi ha dato tutti i suoi luoghi, quelli dove posso sostare e guardare da vicino e quelli dove so, ora e nel futuro, che non sarò mai. Mi pare così strano non riuscire a dare una sbirciatina a George Clooney mentre incrocio continuamente Monicelli, addirittura rimango nella stessa stanza con Spike Lee (ma naturalmente, mentre parla non riesco a vederlo e sono costretta a spostare lo sguardo su uno dei quattro monitor che mi rimandano la sua immagine in tempo reale, nella medesima stanza, allontanandomi inesorabilmente dal quel momento)…
A cura di Francesca Bertazzoni
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