L’insostenibile prosaicità del cannibalismo
Il tema è attuale, anzi attualissimo, e di quelli che stanno bene un po’ dappertutto: sulle riviste femminili come sui rotocalchi d’attualità, ma anche, volendo, sulla stampa specializzata. È l’ormai noto e forse abusato binomio “eros e cibo”, declinato in varie forme e con diversi stili. Madsen sembra avere un gusto smodato per la provocazione, tanto da smarrire l’idea che la provocazione debba esser volta per uno scopo, e non fine a se stessa. Ma è presuntuoso attribuire questa idea all’autore, il quale forse pensa che la voglia di suscitare reazioni sia come il piacere del cibo (o del sesso), indipendente da ogni causa e da ogni finalità. Ad ogni modo, Madsen ha creato per tutti noi lettori il personaggio eccessivo e disturbante di Orlando Crispe, cuoco per vocazione artistica, artista per auto-definizione.
La narrazione è concepita secondo le modalità di una confessione scritta: il protagonista si rivolge al suo pubblico dal carcere raccontando gli eventi che lo hanno condotto lì e la sua voce è interrotta di tanto in tanto dai “Rapporti del Dottor Enrico Balletti” (psichiatra incaricato di analizzare il detenuto sotto processo) che dovrebbero essere la trovata letteraria del progressivo avanzare della follia in una mente sana venuta in contatto con la filosofia del cuoco-artista-assassino. Sì, perché tutta la truce vicenda ha una base filosofica, così esposta dal protagonista stesso: «Al cuore della filosofia del mangiatore di carni c’è un moto d’amore: esso è intenso e immediato, e il mangiatore di carni anela alle carni come un adolescente eccitato al sesso umido di una fanciulla; è paziente e capace di soffrire, e il mangiatore di carni smania per le carni come un mistico per il bacio di Dio». Ne consegue che il nostro cuoco, ai fini della realizzazione concreta di tale filosofia, compia atti che il lettore vorrebbe immaginare inverosimili: Madsen inonda la narrazione di sangue, umori sessuali, masse di carni morte a confondersi con flaccide pelli che ne ricoprono di vive, sughi d’arrosto e salsa tartàre. E intanto lui fa carriera, da aiuto cuoco a chef fino a diventare proprietario di un ristorante, grazie alle pratiche sessuali più svariate e dettagliatamente descritte: dall’anal con un grasso, unto e famoso chef della città alla pelle slabbrata di una decrepita miliardaria in cerca di orgasmi. Ma la pagina (s)cult è quella in cui Orlando Crispe s’accoppia con un quarto di bue, rigorosamente macellato. Chi sta scrivendo non è vegetariano, ma leggendo queste pagine ha sentito qualcosa alla bocca dello stomaco.
Forse questo è l’unico vero pregio di un romanzo che sembra scritto per, anzi, unicamente per provocazione, per il gusto dell’iperbole, dell’eccessivo, del pulp e del trash: suscitare emozioni è sempre un risultato, per uno scrittore, anche quando esse significano uno schifo sensoriale. La sfera morale e quella sentimentale non vengono neanche sfiorate benché ci sia un antagonista che qualche meccanismo in questo senso dovrebbe attivarlo. E per non far mancare nulla, il nostro autore dissemina nel libro ricette culinarie minuziosamente trascritte per le massaie più diligenti. Alla fine è chiaro che il binomio si è fatto trinomio: eros e cibo, ma anche eros e morte, cibo e morte. Morte, sì, quella della letteratura.
L’autore
David Madsen è lo pseudonimo di un professore universitario inglese, Nato a Londra, ha vissuto diversi anni a Roma; attualmente vive e insegna a Copenaghen. Nel 2005 Meridiano Zero ha pubblicato Memorie di un nano gnostico, grottesco romanzo storico su eretici e inquisitori nella Roma del Cinquecento che lo ha fatto conoscere ai lettori italiani.
A cura di Antiniska Pozzi
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