Focus On Ok Go
C’è una questione sugli Ok Go, imprescindibile: la loro musica è molto meno bella dei loro video. Ciò significa che è il videoclip a trascinare in giro per il mondo la loro musica, ma solo e unicamente attraverso internet. Questo gruppo americano dalla fine degli anni Novanta a oggi continua a crescere grazie alla rete, sfruttando le sue caratteristiche di pervasività, gratuità e la sua capacità di rendere condivisibili contenuti in modo veloce e free. Tutto ebbe inizio con A Million Ways, video del tutto amatoriale caricato su Youtube: con una coreografia semplice, un po’ nerd, gli Ok Go sembrano l’imitazione ironica delle ormai defunte boy band. Non si prendono sul serio: davanti alla macchina da presa come chiunque potrebbe fare, si mettono a disposizione dell’utente di internet e lasciano fare al sharing. Ci hanno guadagnato quasi dieci milioni di download. Con Here it Goes Again diventano “quelli dei tapis roulant”, ed è chiaro che la loro musica si mette al servizio del progetto video, non il contrario. Sono clip a costo zero, di bassa qualità visiva, non rispondono agli standard qualitativi richieste dalle televisioni: sono 2.0., in un certo senso, vengono dal basso e al basso di propongono come “cosa fatta in casa”. è naturale che il loro ambiente ideale dove crescere sia la rete.
Con This Too Shall Pass, le cose cambiano un po’: un video-domino ripreso per la maggior parte del tempo in pianosequenza, ben sincronizzato con la musica e sempre estremamente divertente. Ma anche se qui la macchina si fa più sofisticata e le riprese sono professionali (in un passaggio del domino, un televisore dove viene trasmesso il video di Here it Goes Again viene distrutto con una martellata: i ragazzi stanno diventando grandi) il gioco tra gli Ok Go e il loro pubblico si fa più stretto: il gruppo mantiene le promesse e mette in scena se stesso insieme alla propria musica, stupisce ancora di più con una sfida visiva, contro il tempo. Più che mai questa è musica che viene “vista”, poco ascoltata; e ci si allontana un po’ dal territorio del videoclip per avvicinarsi a quello della performance artistica, una simpatica e colorata (esagerata!) sfida scientifica. La stessa canzone era stata girata in una versione da banda con un video più simile ai precedenti “fatti a mano”, in un pianosequenza (dichiarato e autoproclamato, visto che alla fine si sente il “cut” del regista e tutto il cast si scioglie in urletti liberatori e abbracci) che coinvolge il gruppo e altri musicisti/attori: in un prato color petrolio è un tripudio di trombe e cappelli alti da banda di paese, divise violette e cespugli animati. Lo guardi, ti chiedi “ma perchè?!” e continui a ridere fino alla fine. Uno degli ultimi lavori, End Love, si concentra non tanto sul contenuto, ma sul tipo di messa in scena. Invece che giocare con un piano sequenza spettacolare, contro i limiti che spazio e tempo impongono, con l’ultimo clip gli Ok Go si prendo tutto il tempo che desiderano (circa 200 ore di riprese) e lo impastano, allungano, accorciano, trasformandosi in cartoni animati, figurine buffe, quasi dei burattini vestiti con tutine dagli improbabili colori fluo. Il gruppo ha lavorato con Eric Gunther e Jeff Lieberman, un gruppo di tecno musici-artisti che lavorano insieme con il nome di Gloobic: decisamente i limiti tra le arti sono da parecchio caduti.
Per gli Ok Go il mezzo video è diventato un canale fondamentale per veicolare la loro musica: possono cambiare stile e farsi più patinati come per il video del singolo WTF? diretto dal giovane videomaker Tim Nackashi, già musicista e attualmente editor per la serie di divulgazione scientifica Wired Science. Qui è tutto più televisivo, “alto” ma la sostanza è la stessa: si sperimentano visioni nuovi e punti di vista bizzarri, si lavora sulla messa in scena per mostrare qualcosa che stupisca. [img4]La tecnica usata – l’idea è quella di una pittura fisica, la registrazione dell’impronta che il corpo lascia nel tempo muovendosi nello spazio – ricorda tanto quelle fotografie di primo Novecento dei cavalli in corsa o di uomini che saltano, mostrati in tutti i loro movimenti, impercettibili a occhio nudo: niente di innovativo, ma sicuramente qualcosa che si spinge ai limiti e sperimenta con la macchina da presa. La musica la lasciamo per un attimo ai margini, ma almeno gli occhi per una volta sono soddisfatti. E la prossima volta che s’inventeranno? Aspettiamo, navigando prima o poi, sicuramente, incapperemo ancora in qualche divertente bizzarria di “quelli del tapis roulant”.
A cura di Francesca Bertazzoni
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