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cultura dell'immagine e della parola

Four Tet – My Angels Rocks Back

Artista: Four Tet
Brano: My Angels Rocks Back and Forth
Album: Rounds
Regia: Woof Wan-Bau (UK)
Anno: febbraio 2005


Antipasto/Anticristo
Ci sono casi, rari per la verità, in cui la fusione tra immagini e musica è ideale. Questo è quello che succede nel video My Angels Rocks Back dei Four Tet propaggine ed emanazione di Kieran Hebden.
È la dimostrazione che le idee, se ben solide e originali, non hanno necessariamente bisogno di grandi budget per essere realizzate. “Meglio tirare dritto per la propria strada che dare ascolto a chimere spennate e incongrue”, potrebbe aver pensato il regista.
Uno strano caso isolato…

Primo piatto. Fango dal cielo
Immaginate un piccolo essere di carta, bidimensionale.
Nessuna profondità sostiene il suo corpo esile, nessuno lo aiuterà nel tragitto che deve compiere. La sua mobilità contratta lo conduce attraverso un tragitto predeterminato da un binario vero e proprio, come quello di un treno, che metro dopo metro percorre inesorabilmente la sua strada obbligata, ma sicura, materna e protettiva.

Secondo piatto. Il colore dei pensieri
Ci si muove in un bianco e nero sfumato, poco definito, satinato, un vetro appannato dalla condensa di vapor acqueo e freddo, dalla notte che incombe, dallo spazio lasciato dall’immaginazione ai contorni fluttuanti dello stato d’animo.
L’atmosfera è inquietante, ricorda la sensazione che si prova quando si appoggia la lingua su una pila da nove volt carica.
Una lama amara che taglia la lingua.
Tutto concorre a creare orizzonti brevissimi e geometrie acide. Dai corridoi illuminati da neon pulsanti agli imperituri lampioni sperduti in una notte senza fine, senza speranza, post-atomica, post-industriale, post-tutto, un continuum spazio temporale condito da un orrido cielo stellato, vuoto e scuro come un pozzo nero.
Siamo nel video d’arte e nell’arte del video, puro e semplice pasto per fameliche iene tecnologiche.

Terzo piatto. Chi ha incastrato Chi?
Il nostro mostro trip-hop mangia e vomita il suo stesso sangue, nero come la pece, rigurgita l’effimero della materia, si nutre della sua stessa carne.
Non c’è nessuno intorno a lui a prestargli soccorso – né forse lo chiede – come nessuno si preoccupa del prossimo in questo mondo trasognato e asettico circondato da solitudine ed esistenze titubanti.
Si ride, si scherza. Ci si spara addosso.
Ci si sente bene, ci si sente male, ma niente sconvolge l’ordine naturale delle cose.
Neppure il farsi tagliare il corpo in pezzi. Si guarda la notte così, con trascuratezza; le nostre gambe staccate di netto dal tronco, sono lì e ci guardano, orrende. Le tocchiamo per sincerarci che siano davvero loro e lo sono!

Dessert. Nessun fine
Niente. Tutto cambia, nulla avviene.
Il protagonista di questo video è solo, dall’inizio alla fine della sua mini storia, della sua mini esistenza, e allora si sdoppia, dieci, cento mille volte per riempire lo spazio immenso e freddo che lo abbraccia come un angelo della morte.
Ammirevole è la ricerca del dettaglio e della composizione dell’immagine e la capacità del regista di non cadere mai nella mera ridondanza descrittiva della musica. Entra dentro il brano a gamba tesa, vero giocatore di razza.
Ogni oggetto è cristallizzato attorno alla piccola figura dal volto bianco, [img4]pagliaccio del Bunraku (teatro delle marionette giapponese), un unico ritornello, un unico protagonista, monotono, unidirezionale e incredibilmente folle. Un universo scintillante architettato con grande maestria e perizia della narrazione, che non stanca mai. Ogni suono accompagna per mano il proprio fotogramma, ogni frammento fotografico ha una sua personale colonna sonora, in un universo palindromo, perfettamente equilibrato, come si diceva all’inizio. Stupendo.

È un video minimo e minimalista, con poche fratture, giusto quelle che servono, schizzato appena sullo schermo da un pennello elettronico.
Tanto scorrono le immagini lievi nella grafica, tanto pesante arriva, come un calcio in faccia, la densità del significato.
Consumare lontano dai pasti, consapevoli che l’arte è cosa viva e può ferire.
Tenere questo video lontano dalla portata dei bambini.
Dico davvero.

Videografia
• Ikara Colt – Wanna be that way (?)
• Four Tet – My Angels Rocks Back and Forth (2004)
• Yourcodenameis:milo – 17 (2005)

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