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cultura dell'immagine e della parola

Chemical Brothers – Believe

Brano: Believe
Artista: Chemical Brothers
Album: Push the button
Regia: Dom & Nick
Anno: 2005

Sarà per la commistione di generi, elettronica, techno-house, trance, breakbeat e non ultima la psichedelia, a rendere la loro musica un eccitante per i muscoli cerebrali e uno stimolante per le fantasie dei videomaker, sta di fatto che le storie, le scene, fino alle stills che queste note sintetiche producono nell’ascoltatore, hanno qualcosa di artificiale, allucinogeno, con un retrogusto di perverso. Stupenfacenti fonte di miraggi (Star Guitar), vie di fuga dalla realtà e dalle routine (Galvanize) e comunque epifanie creative per ascoltatori e registi (su tutte date un occhio a Get yourself high e Let Forever Be).
L’ultimo video dei “broda” (regia di Dom & Nick) sembra semplicemente un cupo ritorno alle tematiche del lavoro fordista e alla celeberrima sequenza chapliniana in Tempi Moderni (Modern Times, 1936), in cui Charlot avvita iterativamente bulloni su una catena di montaggio. In realtà c’è molto di più. Ha dentro di sè il retaggio disumanizzante, cancerogeno della l’età contemporanea, il superamento del fordismo stesso impregnato del nuovo ruolo della tecnologia, pervasiva e intangibile e della spersonalizzazione dei rapporti umani.
Nella scena iniziale, un operaio guarda dalla vetrina di un negozio, un programma televisivo per fare ginnastica da casa davanti al teleschermo. Le ballerine, tra un piegamento e una flessione, assumono sguardi demoniaci, si animano, ci minacciano come se volessero e ormai potessero, uscire dal tubo catodico.
La puleggia gigantesca su cui ruotava Charlot, aveva un motore, era azionato da un uomo, da un padrone, da qualcuno: conteneva una causa. Ora quel padrone non sa che farci. Il processo, si nasconde e si complica, ma soprattutto si rende indipendente tanto da ricordarci Skynet di Terminator (id., James Cameron, 1984), anche se su una scala più intimista e psicologica. Vuole uscire dal macchinario stesso per riempire gli spazi umani rimasti e controllarci.
Il rumore, la grandezza, la tangibilità degli oggetti e degli attrezzi usati al lavoro da Charlot, è stata miniaturizzata, modularizzata, robotizzata e infine ha preso vita. Ma come è ovvio (per fortuna) sono solo proiezioni di una [img4]paura e di un’ansia esistenziale. E se prima questa paura aveva un nome e una forma da poter essere individuato e contrastato o perlomeno conosciuto, ora si è pluralizzato, non si sa più cosa farne, in cosa credere o come chiamarlo: alienazione, modernità, industrialismo, consumismo, ipertecnologizzazione, disgregazione sociale… Ora non so se dire ancora: “per fortuna”. Questi processi in atto si nascondono negli oggetti che temiamo e cambiano forma. Nella peggiore delle ipotesi ci trasformano in zombie che non riescono a “vedere le nuove forme”, dei perfetti integrati; nella migliore, se quei mutanti li vedi, producno giganteschi cyborg virtuali che ci danno la caccia per succhiarci il cervello, attraverso ogni spazio e ogni tempo. Ma non temete, è tutta finzione. Piuttosto: credete.

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