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cultura dell'immagine e della parola

Grey – My Sweet Hell

Artista: Grey
Brano: My sweet hell
Album: Sulphur
Regista: Andrea Princivalli, Francesca Tosetto (Studiomanolibera)
Anno: 2004

La persone sono capaci di convivere senza una reale fisionomia.
Camminano per le strade del mondo, fragilmente, e non si percepisce la dolcezza della loro individualità. Solo righe di matita sugli occhi improvvisano una tenue capacità di enfatizzare il dolore, ma ancora fragilmente, rimane bianca la loro pagina.
L’orrore del vuoto si disegna in questa ricerca, tra palazzi vuoti, e semafori rossi, continuamente e ancora fragilmente fermi nella loro immobilità.
Life in your eyes: parole scorrono rotonde tra le fila di questo racconto visuale. Ma quali occhi cercare, se sono solo accennati e subito richiusi (l’esempio antitetico di eyes wide shut)?
My sweet hell è senza occhi, è solo un dolce respiro di lenta morte.
Non è solo pace, non è solo prigione, ma assimila la speranza, non una facile speranza, ma una fragile illusione che veicola la vita, e la sua finitezza. Fingendo, veicola tutto questo: la matita definisce il mondo, definisce la rabbia, un albero, il colore rosso, e don’t be late.
Non è più importante l’inferno che chiude le nostre porte, ma il fascino di vivere (e non saperlo fare) in un tale, stupido mondo. Non sarà la tristezza, la mancanza di empatia, ma la presenza di queste costanti a dare significato a questo melenso inferno. Come dire che, solo attraverso una lucida sofferenza, avranno tutti la possibilità di recuperare una sfrenata immaginazione contro ogni coerente e razionalistica depressione.

Giacchè il vero strumento
non è il Pensiero
Sistematico (scatola
chiusa), ma il Frammento.
Cioè, non l’Impero
Ma il Guerriero.

Da Super-Eliogabalo, di A. Arbasino

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