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cultura dell'immagine e della parola

Intervista: Meg e il video Simbiosi

Il lavoro con Riccardo Struchil in particolare e con i registi di videoclip in generale. Quella tra artista e regista è davvero un’attività in “simbiosi”?

Il rapporto può essere certamente in simbiosi, sostanzialmente facendo un lavoro di brainstorming insieme. Può succedere comunque che sia l’artista a comunicare al regista il suo sogno, la sua idea da tradurre in immagini, oppure che sia il regista colui che dà l’input. Da questo punto di vista è interessante affidare del materiale audio a uno specialista di materiale visivo, scoprire per associazione cosa può succedere nella testa di un’altra persona che è abituata a lavorare con un altro senso.

Come avviene la scelta dell’accoppiata regista-artista?

Conosci un regista, ti piacciono i lavori che ha fatto, lo contatti e inizi a fare brainstorming. Mi piacevano i lavori di Riccardo Struchil fatti per Caparezza, che io apprezzo moltissimo come artista. Mi hanno colpito molto, a parte per il fatto che mi facevano davvero sganasciare dalle risate, per il balance instabile che si sviluppava tra realtà e surrealtà

Il messaggio del video è la simbiosi tra sogno e realtà, un sogno a occhi aperti. Mi viene in mente l’ultimo film di Gondry, i suoi virtuosismi espressivi nel prendere la realtà (in questo caso nei backstage della memoria) e fonderla con i sogni, con la capacità di inventare storie, spesso in chiave ironica. Anche in questo video è proposto il backstage, una smitizzazione divertente del cinema, dove tu diventi un personaggio che vive contemporaneamente due realtà parallele. Come vi è venuta questa idea?

Il concept generale è nato da alcune chiacchierate fra me e Riccardo Struchil, durante diversi incontri, ma anche via mail. In particolare l’idea di fare un video nel video, di impostare vari livelli di lettura, praticamente fare vedere un backstage nel videoclip, è stata sua. Un’idea che mi è piaciuta molto da subito perché ironizzava sul prodotto videoclip, inteso come mezzo di commercializzazione della musica. Riccardo ha preso spunto dal testo della canzone, il mio insistere sul fatto che oggi la gente non è più abituata a sognare, che vive dei giorni bui, e pertanto si è rassegnata a immaginare un mondo diverso. Il testo enfatizza sull’aspetto materiale del sogno, di per sè immateriale, che può essere invece molto concreto. Malgrado le riflessioni di base fossero così dolorose da un certo punto di vista, ci tenevo che il video fosse solare, spensierato e ironico. Riccardo è stato bravo a cogliere questo mio desiderio.

Che importanza ha il coinvolgimento emotivo nel videoclip?

Il coinvolgimento nel video è molto importante, sia quando il linguaggio utilizzato è dei più concreti, sia quando è dei più evocativi. E’ un linguaggio parallelo a quello della musica che serve ad arricchire una cosa che stai già dicendo

Con quale grande regista estero ti piacerebbe lavorare?

Mi piacerebbe lavorare con Spike Jonze e con Gondry ovviamente, ma soprattutto con la Sigismondi, per la sua vena dark che sento molto vicino a me.

Nei video dei 99Posse il tuo corpo non era molto esposto, ora invece sei al centro dell’attenzione. Le esigenze che hanno portato la tua presenza in primo piano nascono solo da un’esigenza commerciale?

Assolutamente no. Nasce dal fatto che tutto il disco è caratterizzato da una vena teatrale. Io e Riccardo volevamo dargli un sapore tra il teatro e il musical. Quindi io provo a recitare e sono al centro della scena, ma il senso era quello di ricreare un finto set filmico, da musical.

[img4]La situazione videoclip italiana, decisamente atrofizzata rispetto alle grandi realtà estere. Cosa ci manca: idee, fondi o cultura?

Noi in Italia abbiamo il problema del Vaticano, capace ancora di condizionarci molto sul piano morale e di castrare alcune idee dal punto di vista creativo molto interessanti. La discografia italiana non è evoluta quanto quella straniera rispetto alle varie strategie di marketing. C’è paura e timore a fare qualcosa che esca dagli schemi sicuri in termini di introiti. Credo sia proprio un problema culturale, anche se il mercato discografico estero è inserito in un contesto economico molto più solido e dinamico. In Italia la musica non occupa la stesso posto che non in un paese come l’Inghilterra. Di conseguenza non c’è spinta a fare grossi investimenti.

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