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cultura dell'immagine e della parola

Una primavera da stroncare

Stroncare un film spesso è un compito fin troppo facile. Basta trovare un paio di pecche nella sceneggiatura, una prova attoriale sopra le righe, una regia troppo piatta o al contrario eccessivamente pretenziosa. E il gioco è fatto.
In alcuni casi però stroncare un film è un compito necessario. Gli ultimi due mesi hanno visto passare nelle sale italiane tantissimi film che, per un motivo o per l’altro, ci sono sembrati terrificanti. Colpa di una produzione troppo attenta alle nuove tendenze (ma Costantino sarà davvero una tendenza?) che rischia di appiattirsi a logiche pseudotelevisive. Ma colpa anche di una distribuzione che, malgrado le tanto pubblicizzate voci di creazione di una stagione di 365 giorni, finisce sempre per mandare in sala le maggiori produzioni durante un paio di mesi l’anno.
Vi ricordate un film indimenticabile negli ultimi sessanta giorni? Non è solo una crisi di idee che affossa la nostra voglia di andare al cinema. Sono anche le scelte di un’industria che ci pare sempre più distante dal buon gusto.
Per questo abbiamo pensato di pubblicare un articolo di stroncature. Brevi. Secche. Senza via d’uscita. Questa volta non vogliamo essere critici cinematografici in senso stretto. Non vogliamo proporre nuove chiavi di lettura per un film, per questo ci sono già le recensioni. Vogliamo semplicemente riflettere sulle immagini che ci sono passate davanti agli occhi in questi mesi. Buona visione.

Alexander (in sala dal 28/01)
Il buon vecchio Oliver Stone a confronto con Alessandro Magno? Si trepida, sembra il terreno perfetto per il Grande Film: i temi di una carriera (guerra, potere, Storia), possibilità di un grande spettacolo, finalmente un peplum per adulti. In sala, però, ci si ricorda che il regista soffre di un certo titanismo megalomane e che, a volte, reminiscenze di esperienze lisergiche gli prendono la mano e precipita in deliri giustificati e godibili se raccontano Jim Morrison, ma che forse non si adattano a un Re, filosofo e guerriero, vissuto 2000 anni prima. Ed ecco apparire il fu Re lucertola, ora Filippo II e la Jolie avvolta di serpenti tipo playmate che blatera di uccidere il padre. Estenuanti dialoghi in PPP si alternano a panoramiche in campo lunghissimo e ci tocca l’amore libero tra uomini o il discorso sulle razze tutti uguali. Poi la battaglia nella giungla. Notevole, sembra il Viet Nam, dice qualcuno. Appunto.
Torna a casa, Oliver. E parlaci dell’America. Quello sì, che lo sai fare.

Constantine (in sala dal 25/02)
Quando si parla di un film tratto da un fumetto di grande successo, non si possono che confrontare le due rappresentazioni. Ebbene, il John Constantine di Keanu Reeves non possiede nemmeno in parte la scorrettezza sulfurea del personaggio protagonista di Hellblazer. Il film di Francis Lawrence si perde nei meandri di una sceneggiatura frammentaria, che non restituisce a dovere la bellezza di un personaggio in perenne bilico fra i due mondi. Nemmeno il montaggio delle scene, che finisce in un accozzaglia di effetti speciali degni di un videoclip, settore dal quale proviene lo stesso Lawrence, contribuisce al complesso della pellicola. Un’occasione sprecata quindi per un personaggio che avrebbe potuto divenire un anti-eroe positivo ma al tempo stesso scomodo.

Cuore sacro (in sala dal 25/02)
Gli spettatori meno agguerriti non grideranno “Ridateci i soldi” alla fine del film, ma con buona probabilità diranno almeno “Ridateci la bambina”. Con la sua presenza ci saremmo assicurati delle battute decenti per tutta la durata del film e, soprattutto, ci saremmo risparmiati la conversione della Bobulova, gli eterni primi piani su di lei, una citazione della Pietà scontata e lo spogliarello in metropolitana. Tutto in Cuore sacro è deterministico e manicheo: con o senza bambina, donna in carriera prima e generosa soccorritrice poi, zia buona e zia cattiva. La posizione intermedia sostenuta dal sacerdote non sarà presa in considerazione. Resta quindi il dubbio su quale senso possa avere affermare una morale inattuabile oltre che, nella sostanza, quasi integralista.

Nascosto nel buio (in sala dall’11/03)
È semplice fare un film come Nascosto nel buio. È semplice creare un pasticcio che divaga tra i generi in preda a evidenti smanie di grandezza. È semplice delineare un racconto che brancola nel buio, perdendosi alla fine in una crisi d’identità tra il thriller psicologico, un dramma sociale e/o un horror di pessimo gusto.
I grandi nomi presentati in questa pellicola (Robert De Niro su tutti) sono usati come esche, non sono garanzia di qualità, ma interpreti di un film-trappola prodotto ad hoc per adescare e confondere lo spettatore sprovveduto. Una accettabile regia non basta a sorreggere una sceneggiatura scadente perché tutto è già visto e rivisto, echeggia come un abuso di rivisitazione.

Manuale d’amore (in sala dal 18/03)
È inutile negarlo, la commedia all’italiana è da sempre il sale e il pepe del nostro cinema. Poi, per chi è attento al volume dell’entrate, vale sicuramente anche molto di più.
Il problema è che guardando Manuale d’amore non ci si può astrarre completamente dal narrato per concentrarsi sul fattore marketing. Converrò con chiunque che un’operazione commerciale come questa, qualche attore, molti wannabe attori, un raccomandato, un improbabile VJ e soprattutto la solita quantità di cabaret Zelig che ormai ci viene propinata anche a teatro in allestimenti shakespeariani, sia meglio degli imperturbabili successi della coppia Vanzina e dell’esperimento imbarazzante di Troppo Belli.
Però rimane un fatto. La commedia all’italiana è anche, e soprattutto, la storia del nostro cinema. Quindi, al di là della solita infarcitura di luoghi comuni e buoni sentimenti, si potrebbe provare a contestualizzare la risata nel nostro tessuto sociale per restituire anche un po’ dell’amaro che rendeva così dolci le commedie di Germi, Risi o Monicelli. O per lo meno provare ad azzardare qualche movimento di macchina un po’ più interessante di quanto normalmente si fa per un telefilm.
Giusto per ricordarci tutti insieme da dove arriva il nostro cinema e per provare a capire dove stia andando. Di buoni sceneggiatori e di bravi registi la penisola non difetta. Basta guardarsi in giro.

The eye 2 (in sala dal 01/04)
Tra i peggiori film di quest’anno, un posto d’onore merita The eye 2, pellicola ai limiti del sopportabile che per novantotto minuti tedia il povero e sventurato spettatore.
Analizzando più approfonditamente il film, andando oltre l’impressione globale di abbacinato disgusto, si nota come nessun elemento sia quantomeno accettabile qualitativamente: con una sceneggiatura spesso inconcludente, dei dialoghi di imbarazzante ridicolaggine e una pretenziosità filosofica tragicomica nella sua aspirazione di serietà, la pellicola non aveva verosimilmente nessuna possibilità di risultare piacevole. Nonostante questo, i fratelli-registi Oxide e Danny Pang centrano l’obiettivo, ottenendo per la loro ripugnante creatura cinematografica una distribuzione mondiale.
Con buona pace di chi si batte per un cinema che ritorni alla qualità.

La febbre (in sala dal 01/04)
È sufficiente fare un ritratto della protagonista femminile del film, interpretata da Valeria Solarino (quella di Fame Chimica), per fotografare in maniera perfetta il cinema ruffiano, buonista e pavido di D’Alatri: bellissima (accanto a Volo c’entra come i cavoli a merenda, almeno la Rocca era più un tipo…) ma che non se la tira tantissimo (perché un po’ se la tira), alternativa ma con la Mini in affitto, sensibile ma concreta (si paga da vivere ballando sui cubi, se le facevano fare la cameriera in un pub, poi come facevano a metterci le scene in cui balla tutta sudata?), colta ma spiritosa. Una capace di pronunciare frasi del genere: “Mi piaci perché sento l’odore dei tuoi pensieri”. Da brividi!
In altre parole, un personaggio costruito a tavolino, che vorrebbe piacere a tutti, falsamente alternativo come i VJ di Mtv. Ma lì siamo in tv e non al cinema, dal quale, almeno in teoria ci si dovrebbe aspettare qualcosa di meno consolatorio e più stimolante.
Ah, dimenticavo, D’Alatri viene dalla pubblicità…

The mask 2 (in sala dal 01/04)
Quando un film comico non riesce a far ridere significa che siamo in presenza di un fallimento totale. The mask 2 è il seguito del divertente film con Jim Carrey del 1994 e punta a enfatizzare in chiave comica gli effetti della paternità. Ma il confronto tra Jamie Kennedy e Jim Carrey è impietoso, tanto che i pochi picchi di comicità si presentano in presenza del personaggio meno atteso, il cane Orso. Il film parte a rilento, nel tentativo (vano) di costruire una trama accettabile, così per la comparsa del bambino e dei primi sorrisi è necessario attendere una buona mezzora. Una volta sprigionatasi la follia della maschera, regia e montaggio si scatenano in sequenze dalla velocità frenetica, scene ben realizzate grazie alla straordinaria potenzialità degli effetti speciali, ma che da sole non bastano a risollevare l’interesse per un film dai contenuti mediocri.

Il ritorno del Monnezza (in sala dal 15/04)
[img4]«Reggeme er posto che vado a cagà!» Non è l’incipit di Il trucido e lo sbirro, è Milian, l’inimitabile borgataro di volgarità coatta, davanti a questo indecente remake, con lo sdegno che gli frulla l’intestino. Allora, le imprese del Monnezza furono come una manna, quando nel poliziottesco urgevano ventate d’autoironia e personaggi anti-Serpico tutto effetto e niente sostanza, icone della trivialità popolare. Oggi sembra il pretesto di Vanzina e Amendola per promuovere videofonini, nike, alfaromeo e vacanze di natale a Cortina d’Ampezzo. Fare risorgere zombie cinematografici è un pretesto che non funziona. Il cinema italiano è alla frutta, incapace di sfornare idee.
Ci mancava solo l’escrementizio revisionismo di genere dei Vanzina per sprofondare nell’autolesionismo.

Non dimentichiamo poi i film oggi in sala:
The wedding date
Vieni via con me
American trip
Troppo belli

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