Il topos del bambino nella letteratura
La figura dell’infante nella letteratura ha sempre rappresentato il topos di un mondo “altro”. Già dai prodromi della nostra civiltà vediamo come i bambini incarnino un mondo di purezza e di vicinanza alla natura che noi, in quanto adulti, abbiamo completamente perso e dimenticato.
Eros, l’amore istintivo, il più puro degli dei greci, è spesso rappresentato con le fattezze di un bambino. Lo troviamo adulto (giovane) solo durante il suo incontro con Psiche, l’anima razionale, nella famosa favola in cui, in seguito alla nascita dell’amore tra i due, perde il suo segreto, e nello stesso momento viene ferito. La ragione, nell’età adulta, snatura l’amore e lo conquista, facendogli perdere la sua struttura originaria.
Un altro esempio possiamo trovarlo nella Bibbia. Solo un bambino, Davide, riesce a liberare gli Ebrei dalla schiavitù, grazie a un coraggio puro che gli adulti non riescono più a trovare nei loro cuori. Quando questo bambino diventando adulto perderà la sua purezza, e compirà uno dei delitti più efferati: l’omicidio di uno dei propri migliori amici, al fine di rubargli la moglie.
I bambini insomma contengono una forza interiore che gli adulti non possono comprendere, un contatto con la natura che abbiamo perso e non ci ricordiamo più.
Quando i bambini vengono in contatto con i pericoli, con mondi estremi e violenti, popolati di orchi e streghe, questi sono sempre esterni a loro, metafore del mondo degli adulti. L’energia che si genera da loro è sempre positiva.
In tempi più recenti i bambini, nella letteratura, hanno cominciato a rappresentare una porta verso questo mondo altro, un mezzo che gli adulti possono sfruttare per accedere a universi che essi avevano dimenticato, una purezza e un’energia ormai perse. La metafora del fanciullino di Pascoli, che ogni uomo deve riesumare per entrare in contatto con l’arte, ne è un esempio.
Altro esempio, forse il più importante per la letteratura contemporanea, è quello dell’Alice di Lewis Carroll. Alice è una bambina che entra in contatto con questo mondo altro, che si trova in fondo ad una buca, chiara metafora della regressione. In questo mondo magico, però, non vi sono solo personaggi positivi o innocui. Nella loro bizzarria i personaggi che Alice incontra nel suo inconscio sono pericolosi. In questo mondo Alice comincia a conoscere la morte. Questa favola rappresenta un punto di cambiamento nella visione del topos dell’infante nell’immaginario collettivo.
Questo succedeva nel 1865. Nel 1923 Sigmund Freud, in seguito ad anni di studi, sostiene che il mondo che si nasconde dentro i bambini è ben diverso da quell’universo di purezza che tutti si erano immaginati. In realtà l’immensa forza di quel mondo è già corrotto dalla sofferenza e dalla morte. La forza con cui entriamo in contatto attraverso di loro può essere anche negativa. E quando lo è, si presenta terribile nella sua limpidezza.
Sir William Gerald Golding scrive nel 1954, agli inizi dell’epoca postmoderna, un libro che sconvolge il pubblico e la critica: Il signore delle mosche. In questo i bambini sono l’incarnazione di una forza violenta e selvaggia, ma allo stesso tempo sottile e perversa, che va al di là di ogni immaginazione.
Da questo punto in poi il topos del bambino, come porta verso un mondo altro, continua ad esistere. Il mondo sconosciuto agli adulti può però essere anche violento e terribile, invaso dalle creature malefiche che avevamo nascosto nel nostro inconscio.
Un esempio di questo può essere il bambino di Shining (Stephen King, 1972), il tramite con un mondo che gli adulti possono conoscere solo nella pazzia.
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