Il bambino nel cinema fastastico/allegorico
Sguardo sul mondo. Il cinema si affida spesso a un osservatore che getti un ponte fra la mdp e lo spettatore, un punto di vista che sappia cogliere in profondità la natura delle cose. Non stupisce che questo osservatore privilegiato sia proprio un bambino. Portatore di uno sguardo vergine, getta una luce poeticamente straniante sulla realtà contemplata.
Certo lo sguardo infantile si esprime al meglio nelle tonalità del fantastico e dell’allegorico; proprio per questo il bambino è scelto spesso come protagonista di un viaggio in un mondo immaginario, che si pone come metafora del mondo reale.
L’archetipo di questo modello d’osservazione è naturalmente Alice. Carroll disegna il Paese delle Meraviglie come un geometria non euclidea: pone come assioma di base la pura logicità del linguaggio, lo applica alla società vittoriana e prova a immaginare quale reazione chimica si possa sviluppare dalla combinazione di questi due elementi. La vittima di questo scherzo non può che essere una bambina: al di là delle possibili implicazioni biografiche carrolliane, a un adulto risulterebbe più difficile abbandonare la ferrea logica vittoriana per adottare quella del Paese delle Meraviglie. La stessa Alice avrà qualche problema, ma l’attitudine all’apprendimento data dalla sua età scolare sortirà, alla fine, i propri frutti.
Le filiazioni di Alice non si contano nel cinema, soprattutto in quello d’animazione. Nella Città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi, Giappone 2001) di Hayao Miyazaki, Chihiro è figlia della società giapponese, che, a causa della rapidissima industrializzazione, ha perso contatto con le proprie tradizioni e con il sacro. I genitori non riconoscono il luogo incantato in cui si trovano, pensano che si tratti di parco tematico abbandonato e si abbuffano del cibo degli dei. Chihiro salva se stessa e i propri cari perché, da bambina qual è, sa recepire il fantastico, capisce che le leggi del mondo reale non possono spiegare la città incantata. A Chihiro è stato raccontato di essere caduta in un fiume da piccola, e di essere stata salvata da mani umane. Ma i suoi ricordi infantili riaffiorano e le suggeriscono con certezza il vero nome di Haku, sottraendolo al legame con Yubaba.
Il bambino ha quindi una sensibilità che gli permette di guardare con una certa “superiorità” (anche se non cosciente) al mondo degli adulti, una superiorità che si manifesta spesso nel cinema in uno sguardo dal basso. Si pensi alle paradossali e stranianti soggettive dei neonati di Senti chi parla (Look who’s talking, Amy Heckerling, 1989). E’ spesso proprio questa sensibilità altra, aliena del bambino che guarda al mondo adulto attraverso questo punto di vista a scaturire effetti a volte esilaranti (come nell’esempio precedente), altre volte drammatici.
Nel libro di Golding, Il signore delle mosche, un gruppo di bambini di una scuola inglese naufraga su un’isola deserta. Qui il tentativo di ricostruire in piccolo una comunità civile naufraga in breve tempo ed i piccoli protagonisti commettono atti di irrazionale e violenta ferocia in cui intravediamo la metafora di un’umanità corrotta e quasi “declassata” a primitiva. La trasposizione cinematografica del libro (The lord of the flies, Peter Brook, 1963) si conclude con un disperato tentativo di fuga da parte di Ralph dai suoi indemoniati compagni, il bambino inciampa e cade sulla spiaggia, ormai disperato, ma quando alza gli occhi dal suolo la mdp inquadra in soggettiva le scarpe e poi il volto di un adulto finalmente giunto sull’isola per riportare i dispersi a casa. Dallo sguardo dell’uomo traspare un leggero monito, ma anche una profonda incomprensione verso ciò che è successo e di cui il mondo adulto non vuole certo venire a conoscenza. E’ in questo sguardo verso l’alto di Ralph che egli e tutti i bambini riacquistano il loro statuto di bambini.
Nel film A.I. Intelligenza Artificiale (Artificial Intelligence: A.I., Steven Spielberg, 2001), legato in maniera inconfondibile al mondo fiabesco di Pinocchio (cui si rifà in maniera puntuale), ma anche al viaggio di Dorothy nella terra di Oz e a quello di Alice, David, un robot bambino che ha ricevuto l’imprinting ed è quindi in grado di provare amore verso la propria “madre”, [img4]vaga in un mondo futuro dove si concretizza per lui l’incubo di ogni bambino: l’essere abbandonato da solo in un bosco (Pollicino, Cappuccetto Rosso). Egli è alla ricerca disperata della fata turchina che può farlo diventare un bambino vero, in carne ed ossa; egli è convinto di essere unico ed irripetibile, come gli esseri umani, e di provare, quindi sentimenti unici, anche quando il mondo gli dice tutto il contrario. David, con la sua semplicità, nella sua convinzione e con la speranza quasi ossessiva di poter essere amato è forse il personaggio del film che ci appare di più come essere umano.
Il bambino non è solo uno sguardo vergine sul mondo degli adulti. L’innocenza che incarna lo rende innanuzitutto una porta sui sentimenti. I viaggi di Chihiro in mondi lontanti odi Ralph inun’utopiasociale mancata sono itinerari di amore o di odio. Tanto l’amore di due bambini è lieve, tantol’odio appare spietato e insensato, come dovrebbe essere, forse, anche quello degli adulti.
Morale, ma non moralista: qui lo sguardo del bambino trova la sua necessità.
A cura di Fabia Abati
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