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cultura dell'immagine e della parola

Professione immagine

Sono le dieci di sera, in teoria l’ora di inizio è questa. In realtà non è facile capire se l’evento sia già cominciato o meno: c’è il buffet sul tavolo centrale e per la sala principale dell’Old Fashion Cafè passeggiano uomini in giacca e cravatta e donne attillate. Si servono, fanno due passi, mangiano, si sorridono. L’impressione è che la serata stia cercando di darsi una struttura, ma è ancora presto e quello che vedo sono solo dei tentativi: qua e la si creano piccoli flussi di comunicazione destinati cadere in fretta, ognuno fa in modo che la propria immagine abbia modo di rodarsi un po’.
Mi metto in posizione periferica, in questi casi si aspetta. Preparo qualche domanda sul taccuino nell’attesa che qualcuno si esponga.
Il mio obiettivo questa sera sono i professionisti dell’immagine. Devo avvicinarli, se il caso blandirli, interrogarli. E’ per questo che sono venuto alla presentazione del calendario 2004 del fotomodello Marcus Schenkenberg: per capire chi sono, come agiscono, che strategie mettono in atto durante un evento mondano gli addetti ai lavori di questa società dell’immagine.

La festa inizia ad animarsi dopo un’oretta, le conversazioni sui divanetti a triclinio sembrano farsi più vivaci, come se ognuno avesse finalmente capito con chi deve parlare e perché. Il dj set contribuisce a creare un atmosfera di sobria mondanità, una voce flautata intona il classico dei Duran Duran “Don’t save a prayer”. Alcune schedine di “Quelli che il calcio” fanno bella mostra di se ad un tavolino nel privè.
Mi avvicino a un trio di composto da due ragazze ed un ragazzo dal look particolarmente curato. Si mettono in posa per qualche fotografia con estrema naturalezza e accettano di rispondere a qualche domanda. Non perdo tempo e li interrogo sul tipo di comunicazione che intendono operare attraverso la loro immagine. Il ragazzo mi regala un sorriso da cartolina e mi risponde prontamente: “Quando si lavora all’interno di un evento di questo tipo quello che si deve comunicare è un’atmosfera fashion di allegria, divertimento ed amicizia”. Lo incalzo un po’ chiedendogli quali accorgimenti adottano per raggiungere il loro scopo. Lui non si scompone: “Naturalmente non basta apparire, bisogna operare le scelte giuste a livello estetico e lavorativo per quanto riguarda i contenuti che si intende trasmettere attraverso la capacità espressiva del viso e del corpo”. Sono affascinato ma non convinto, come ci si prepara in vista di una serata del genere? “In realtà non ci si può preparare in anticipo. Ovviamente si scelgono i vestiti, ma il momento dell’esibizione e della fotografia è un momento creativo e va vissuto in tempo reale. Bisogna sapersi mettere in rapporto con l’ambiente e lasciare che venga a galla l’emozione che si vuole lasciare impressa”.
Ora sono convinto, lo ringrazio e butto in un posacenere tutti i luoghi comuni e i pregiudizi sui modelli.

Non ho fatto neanche due passi e già mi trovo a parlare con altri due addetti ai lavori. Un lui e una lei, vestiti con particolare gusto. Li ho visti scivolare più volte e con eleganza da un gruppetto di interlocutori all’altro. Attacco bottone e scopro che si tratta dei titolari di una agenzia di eventi appena formatasi.
Nonostante non dimostrino neanche trent’anni vantano già una buona esperienza nel settore, abbastanza da decidere di mettersi in proprio. Sembra un’attività interessante, gli chiedo di descrivermela. Ricevo un nuovo sorriso e una buona spiegazione: “Noi intendiamo lavorare in un campo che è ancora poco esplorato in Italia, quello dell’ottimizzazione fotografica. Il nostro ruolo vuole essere quello di coordinatori delle figure professionali che lavorano fianco a fianco quando si realizza un servizio: scegliamo le modelle, lo stylist, il fotografo e il truccatore e fungiamo da supervisori dando una linea artistica ben definita al prodotto”. Mi viene spontaneo chiedergli se questa linea è stabilita a priori o varia di servizio in servizio. “Ogni lavoro che realizziamo è un caso a sé stante. Non abbiamo standard di nessun genere, ne’ a livello fotografico ne’ a livello di modelle. Anzi, cerchiamo di discostarci da quelli che sono i canoni classici di bellezza e immagine. Ad esempio, non ci interessa utilizzare le classiche top model, preferiamo ragazze di talento, magari con dei piccoli difetti ma allo stesso tempo dotate di un carisma particolare”. Dal punto di vista imprenditoriale non fa una grinza: puntano su innovatività e unicità per emergere nel settore. Li lascio ad un nuovo giro di saluti e presentazioni.

Per il locale, quasi a sottolineare il tema della serata, girano ragazze immagine che pubblicizzano un nuovo palmare che permette di catturare e spedire istantanee. Mi fanno pensare a quanto la cultura dell’immagine sia ormai pervasiva e a come si faccia sempre più labile il confine tra l’immagine privata e quella pubblica da esibire. Mentre rifletto sul fatto che sarebbe interessante parlarne con qualcuno che si trova a gestire a livello professionale la propria esposizione sui media, mi accorgo che a pochi passi da me c’è Morena Savino, letterina nella scorsa edizione di Passaparola e sogno erotico della porta accanto nella pubblicità-tormentone del “Buonaseeera”.
Con professionalità fingo di non badare alla sua bellezza abbacinante e, fissandola nei suoi dolci occhi scuri, le domando se guardarsi in tv è come guardarsi allo specchio o se si percepisce uno scarto tra quello che si è e quello che si appare. Gentilmente risponde: “La differenza si sente, inutile nasconderlo. Ma non è necessariamente un’esperienza sgradevole. Io la vivo da attrice: sullo schermo interpreto almeno in parte un personaggio che si discosta da me, ma nella sua diversità questo personaggio mi piace”. Poi si allontana col passo di una gazzella nella savana.

Intanto l’evento sta giungendo al suo culmine: Marcus è entrato e si è posizionato con fare regale su un divanetto intorno al quale si avvicendano troupe televisive e teleobbiettivi fotografici. Lo hanno raggiunto quasi subito Nina Moric e Randi Ingermann, attirandosi addosso una quantità di flash tale da illuminare a giorno l’intero locale che fino a poco prima galleggiava nella luce soffusa.
Vorrei avvicinare un fotografo, ma mi rendo conto che sarebbe un tentativo vano, probabilmente etichettabile alla voce “comportamenti sovversivi”. I fotografi sono gli occhi della serata e non sembra possibile rovesciare l’obbiettivo in modo da inquadrarli. Sono sfuggenti, mi viene il dubbio che non si riflettano neanche negli specchi.
Li lascio al loro compito e mi sposto nell’atrio, dove scambio due parole molto informali con uno degli organizzatori della serata. Quello che mi colpisce è l’elasticità del personaggio, che riesce a plasmare il proprio modo di comunicare in modo da adattarlo a qualunque interlocutore risultando sempre gradevole. Gestendo tre conversazioni in contemporanea mi spiega che il suo è un lavoro di strategia, che l’attenzione bisogna sapersela guadagnare e soprattutto che è fondamentale gestirla nel modo migliore. Poi mi dà un consiglio: “Sorridi un po’ di più. Sorridere predispone meglio chi ti sta davanti”. Touché.

Rientro: Marcus sta tagliando la torta celebrativa della serata, alle sue spalle gigantografie degli scatti del calendario. Tra gli applausi il festeggiato ringrazia tutti gli intervenuti e ci invita al divertimento. Partono i ballabili e la pista si fa gremita.
Mi sposto all’aperto, nel giardino retrostante il privé. L’idea è quella di aspettare il protagonista della serata per chiudere il pezzo con una sua dichiarazione. L’idea è buona, e non appena Marcus esce a prendere una boccata d’aria la mia domanda lo assale: cosa voleva comunicare con questo calendario?
Per quanto sorpreso, lo svedese non si scompone: “Il 2004”.
Ora sono io che rischio di scompormi. Gli chiedo delucidazioni. “Volevo comunicare il 2004. Sono quattro anni che non faccio un calendario, e i miei fan ne volevano uno. Semplicemente li ho accontentati”.
Folgorante: professione immagine.

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