Tutti gli uomini di Cannes III
Alexander Payne
Nato nel 1961, si è diplomato in storia e letteratura alla Stamford University, poi ha partecipato al rinomato programmi di studi cinematografici di UCLA. Il suo film di tesi, “The passion of Martin”, è stato proiettato al Sundance del 1991 e in altri venti festival di tutto il mondo. Ha debuttato alla regia con “Citizen Ruth”. Il film, assai apprezzato dalla critica, ha fruttato il premio a Laura Dern come miglior attrice protagonista al festival di Montreal.
Alexander Payne si presenta a Cannes con “About Smith” (2002): un applauditissimo Jack Nicholson nei panni di Warren Smith, depresso e avvilito, pensionato, si sente un fallito nella vita, finchè non decide di partire per il Nebraska per il matrimonio della figlia, durante il viaggio, un interlocutore d’eccezione, un ragazzino povero della Tanzania che sopravvive con 73 cents al giorno. Nelle sue lunghe lettere al ragazzino Warren inizia a vedere se stesso e la vita che ha vissuto con occhi diversi. Di Payne si ricordano “Election” (1999); commedia cinica caratterizzata da uno scontro di generazioni nella quale un insegnante rinomato si oppone alle elezioni studentesche ad una ambiziosa studentessa. Premiato con una nomination all’Oscar per il miglior adattamento di sceneggiatura e la storia di Ruth donna americana(1996); film già citato dove la Dern si esprime a grandi livelli.
Regista e sceneggiatore di tutte le sue opere, si è presentato a Cannes con un discreto film che punta tutto sull’istrionismo di Nicholson che era uno dei candidati ad ottenere il premio di miglior attore.
Robert Guediguian
Nato a Marsiglia nel 1953 è uno dei produttori associati delle case di produzione Agata films ed Ex Nilo, che negli ultimi anni hanno affiancato diversi registi. Come autore regista e produttore, può vantare “Dernier etè” (1980); “Rouge Midi” (1983); “Ki lo sa” (1985); “Dieu vomit les tiedes” (1989); “L’argent fait le bonheur” (1992); “A’ la vie, à la mort” (1994); “Marius et Jeannette” (1996); “A la place du coeur” (1998).
A Cannes si presenta con Marie Joe e i soui amori: Marie Joe che tenta il suicidio durante un pic nic, dilaniata dall’amore profondo che prova in egual misura sia per il suo amante che per il marito. La trama si snoda tra le terribile pene interiori della donna che non riesce a scegliere, fino al tragico epilogo, un po’ in stile “Dramma e gelosia” di Scola.
Di lui si ricordano “Marius et Jeannette” del 1997, pittoresca commedia francese, allegra e malinconica, che narra la storia di due anime gemelle che nel dolore e nei debiti si giureranno amore eterno. “A l’attaque”, dove mette in scena in uno stile favoleggiante, la battaglia antiglobalizzazione della famiglia Malinterno, proprietaria di un piccolo garage, contro una grande multinazionale del settore. La sua cinematografia spazia sui generi e va nache a toccare la commedia leggera e banale in “Al posto del cuore” (1999).
Non è un grandissimo, il suo film non è un capolavoro, ma può contare sulla sua nazionalità per trovare un posticino in quel di Cannes.
Olivier Assayas
Ancora una volta viene premiata la nazionalità di un regista da poco. Assayas ha parecchi film alle sue spalle, nessuno di successo o di spessore, nè di critica nè di pubblico, eppure a Cannes ci si ritrova a visionare il suo “Demonlover”: è la storia della battaglia per l’ottenimento dell’esclusiva sulle pubblicazioni di immagini digitali di un nuovo manga porno in 3D, destinato a stravolgere il florido mercato del porno in rete. La lotta è tra la Megatroniocs e la Demonlover, nella quale Diane si infiltra, come spia industriale per la prima compagnia… il resto è tutto da immaginare. Il film è tra i maggiori candidati ad essere eletto il film più brutto di Cannes, anche se a dire il vero Assayas è stato protagonista di opere migliori, come “Alice & Martin” (1998); dove il fotomodello Martin si innamora della violinista Alice, in un alternarsi di atmosfere sospese ed inquature da gran maestro, o “Irma Vep” (1996); film sarcastico, in stile nouvelle vague, chiaro omaggio all’idolo di Assayas, Truffaut. Protagonista anche di altri fallimenti come “Contro il destino” (1992); ci sembra esagerato concedere spazio a Cannes per questi registini, emuli del cinema/Tv, che va proliferando ultimamente.
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Kwon Taek Im
Regista sud coreano, del quale si ricordano in europa “Bougie-Lies” (1999); in concorso a Venezia nel 1999, tratto dal romanzo “Tell me a lie” di Jang Jung (1996); dove la studentessa Y ha de deciso di perdere la verginità prima della fine del liceo ed inizia la storia con J, uno scultore di trentotto anni con il quale si ritroverà sempre in una stanza d’albergo in cui, in un crescendo continuo, arriveranno anche a situazioni estreme. Poco apprezzato in occidente per la sua marcata orientalità, sia nei tempi che nel ritmo, si presenta a Cannes con “Chihwaseon” che narra la storia del pittore Ohwon Jang Seung Up, per il quale ha ottenuto il premio per la miglior regia ex equo con Anderson.
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