Il tempo è magia nera
Ivan bambino, Ivan ragazzo, Ivan prigioniero, Ivan soldato, Ivan padre di famiglia, Ivan fantasma: un’intera vita raccontata nella sua in-completezza. Croazia, 1948: iniziano qui sia il racconto che la vita del protagonista, e da subito le vicende personali di Ivan s’intrecciano indissolubilmente con gli accadimenti del XX secolo, in un legame misterioso che ripropone l’interrogativo eternamente irrisolto sui rapporti tra individuo e Storia.
Ivan Dolinar cresce nella Jugoslavia di Tito, procedendo a tentoni in una società in cui sembra che tutti sappiano quale dev’essere il proprio posto. Fin dalle prime righe la narrazione è ricca di episodi-simbolo dell’inadeguatezza del protagonista (che è poi quella di ogni essere umano di fronte alla propria esistenza): il romanzo si configura come una serie di istantanee, vividissime e di un’ironia caustica, tenute insieme dal soggetto principale, ma anche abitate da una galleria di personaggi indimenticabili, uno su tutti lo scultore Marko Kovacevic, cinico e disilluso portatore di una concezione in cui «Dio non ci farà bruciare all’inferno come le rane che gli italiani cucinano ai ferri. Dio non è un cuoco italiano. Non esiste l’inferno. E non esiste nemmeno il paradiso».
Ivan è perennemente in balia degli eventi e dei cambiamenti sociali: dagli anni del comunismo alla guerra civile, Novakovich letteralmente disegna per noi il percorso formativo del protagonista, dai tentati studi di medicina e filosofia all’incontro col dittatore Tito e Indira Gandhi in un campo di lavoro, regalandoci immagini memorabili per la loro efficacia metaforica.
E ancora, le pagine della guerra, l’incapacità del protagonista di capire su che fronte combattere e la difficoltà di uccidere per la prima volta un altro essere umano: ma, del resto, «non puoi essere in guerra e non uccidere, è come lavorare in un bordello e restare vergine».
Tutto è raccontato con uno stile ibrido che alterna momenti di vera poesia del quotidiano, riflessione filosofica e toni cronachistici talora tendenti al triviale, uno stile che rispecchia appieno gli elementi della vita del protagonista, della Vita in generale.
Qua e là, mentre gli anni scorrono e il mondo si trasforma, possiamo udire i pensieri di Ivan, le sue piccole prese di coscienza, mai definitive e sempre cariche di stupore: «il tempo è magia nera… prosciuga i tessuti da sotto la pelle e li trascina fuori dal corpo», commenta osservando il volto decadente di Marko, che un tempo gli era parso durevole come le lapidi che egli scolpiva.
«Abbiamo tutti personalità multiple; una di noi è il passato, l’altra è il futuro, e non ne esiste una presente. In questo momento siamo vuoti, siamo spazi in cui il passato e il futuro discordano». A suo modo uno sguardo puro, riportato dall’autore senza tradirlo, evidenziato da un’abilissima ed efficace ironia. Stupefacente il finale.
Che differenza c’è tra un fantasma e un’anima?
L’autore Josip Novakovich (1956) emigra dalla Croazia negli USA a vent’anni. Attualmente, insegna scrittura all’Università di Cincinnati. Vincitore di numerosi premi letterari, tra cui The Book Award e Guggenheim Fellowship. Ha scritto una raccolta di saggi dal titolo Apricots from Chernobyl e un romanzo breve, Yolk; numerosi suoi racconti sono inoltre stati pubblicati su riviste quali Los Angeles Times e New York Times.
A cura di Antiniska Pozzi
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