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cultura dell'immagine e della parola

Festival Internazionale di Locarno

Esiste un cinema che è ben fatto senza cadere nella confezione, che è popolare senza essere “mainstream”, che parla un linguaggio accessibile senza cadere nella banalità, che vive di “production values” senza farne il valore portante, che si nutre di idee oltre che di azione. E’ il cinema che abbiamo cercato per il nostro programma della Piazza Grande, per cui quest’anno abbiamo selezionata una gamma di film molto diversi ma tutti legati dal filo rosso di temi forti, dalla violenza degli hooligan inglesi in The Football Factory alla visione di un autore come Patrice Leconte sulla Cambogia in Dogora, dalla riflessione sull’olocausto di Volker Schlöndorff in Der neunte Tag alla ribellione giovanile di Les fautes d’ortographe, dal Medioriente di Hacala Hasurit (The Syrian Bride) alla commedia interrazziale di Seres Queridos (Only Human), dagli intrecci perversi tra stampa e politica di Kongekabale (King’s Game) alla contrastata love story di The Notebook. E anche il film di chiusura, Appleseed, tra le pieghe di un’animazione mozzafiato nasconde un preziosa messa in guardia da coloro che ci promettono facili utopie. Accanto a questi titoli la Piazza ospita quest’anno Cantando dietro i paraventi, il film del nostro Pardo d’onore Ermanno Olmi, un omaggio a Marlon Brando, Queimada, che sarà introdotto dallo stesso regista Gillo Pontecorvo, e Samsara, il film scelto per rappresentare il suo cinema da Karl Baumgartner, che riceverà il premio Raimondo Rezzonico. Ed una serie di film e di eventi legati a Newsfront, la grande retrospettiva che dedichiamo ai rapporti tra cinema e media.

Irene Bignardi


OMAGGIO A MARLON BRANDO

Sabato 7 agosto, nell’ambito della prossima edizione, la cinquantasettesima, del Festival Internazionale del Film, verrà reso omaggio alla memoria di Marlon Brando. L’opera scelta per ricordare quest’immenso attore recentemente scomparso è Queimada, realizzata nel 1969 da Gillo Pontecorvo – presente a Locarno per celebrare la straordinaria interpretazione di Brando e per rievocare la loro collaborazione sul avventuroso set del film. Scritto dal regista con Franco Solinas, Queimada verrà presentato nella versione originale inglese sullo schermo gigante della Piazza Grande, in concomitanza con l’uscita statunitense di una versione integrale del film (il cui titolo inglese è Burn!). Nella filmografia di Marlon Brando, Queimada segna un allontanamento da Hollywood già preannunciato nei primi anni ’60. Dopo essersi cimentato nei generi più svariati – dalla tragedia shakespeariana (Giulio Cesare, Mankiewicz, 1953) all’avventura marittima (Gli ammutinati del Bounty, Milestone, 1961), passando per la commedia musicale (Bulli e pupe, Mankiewicz, 1955) –, dopo aver vinto un Oscar con Fronte del porto (Kazan, 1954) e realizzato un western (I due volti della vendetta, 1960), Brando infatti lavora di meno, scegliendo grosse produzioni per necessità economiche oppure progetti che gli stanno a cuore. Queimada è senz’altro tra questi. Brando, del resto, nutriva una profonda stima per Gillo Pontecorvo – di cui condivideva le convinzioni politiche – e interpretò l’agente al soldo del governo britannico con grande generosità. Nel XIX secolo, Sir William Walker sbarca a Queimada, isola delle Antille, per mettere fine al monopolio commerciale portoghese. Con l’aiuto di José Dolorès, schiavo ribelle, fomenta un colpo di stato e instaura un governo di meticci. Ma José Dolorès imbraccerà nuovamente le armi per rovesciare il governo costituito dagli inglesi. Girato nel 1968 a Cartagena das Indias, in Colombia, questo manifesto anti-colonialista ebbe una genesi travagliata. Al clima tropicale si aggiunsero infatti le restrizioni di budget e la difficoltà di conciliare l’interpretazione degli attori non professionisti, tra cui Evaristo Marquez nei panni di José Dolorès, con quella del grande adepto del Metodo Actor’s Studio. Brando, destabilizzato, divenne nervoso, “ombroso come tutti i cavalli di razza” racconta Pontecorvo. L’esito è comunque eccellente: le prestazioni degli attori, la forza del soggetto, la colonna sonora firmata Morricone ne fanno un film da (ri)scoprire.

CONCORSO INTERNAZIONALE

Un viaggio di esplorazione: dei paesi, dei continenti, delle epoche, degli stati d’animo, dei modi di fare cinema, dei formati, delle ideologie, dei conflitti, della realtà. Questo è il percorso che offre il Concorso Internazionale di Locarno al suo pubblico. Dalla Francia al Vietnam, dal Kazachistan al Belgio, dal Sudafrica all’India, dagli Stati Uniti al Giappone, il nostro programma ha selezionato, su centinaia di film, quelli che meglio ci parlano dell’oggi, con tutte la tumultuosa prepotenza, e che ce ne parlano nei modi più pertinenti, impertinenti e interessanti. Una selezione che è stata condotta dalla curiosità e dalla voglia di scoprire, al di là dei valori consolidati, le nuove voci e i nuovi autori che ci parleranno in futuro. E, chiusa la selezione, abbiamo scoperto che, quasi per caso, i film scelti per il Concorso internazionale provengono da diciassette paesi diversi, parlano ventuno lingue diverse, propongono linguaggi cinematografici diversissimi, ma tutti o quasi tutti sono impegnati nel difficile progetto comune di decifrare il presente, di capire le ragioni e le non ragioni del mondo in bilico in cui viviamo – un mondo in cui le “follie private”, per dirla con il titolo di un film, sono il risvolto di una più collettiva follia generale non sempre allegra e spesso tragica.

Irene Bignardi


PARDO D’ONORE – ERMANNO OLMI

Un Pardo d’Onore preso in corsa
di Tullio Kezich

In Piazza Grande, il 9 agosto, Ermanno Olmi prenderà il Pardo d’onore Longines in corsa perché non ha tempo da perdere. Deve completare il film a sei mani con Abbas Kiarostami e Ken Loach, studia “La figlia del reggimento” di Donizetti per il prossimo allestimento lirico e sta già pensando al dopo. A riprova del paradosso che un maestro può nascere da un mediocre allievo, nel corso irregolare dei suoi studi Olmi non è riuscito a imparare nessuna lingua straniera; e anche l’iraniano Kiarostami, per quel che ne so, è tutt’altro che un poliglotta. Viene la curiosità di sapere come si intendono lavorando insieme. Forse Ermanno parla in bergamasco e Abbas risponde in farsi: il che non ha impedito ai due di procedere di conserva, essendosi da tempo riconosciuti fratelli nelle immagini e ammirando ciascuno i film dell’altro.
Il cinema ha un suo linguaggio che vola al di sopra dei dialoghi, trasmettendo i messaggi in una forma insieme criptica e misteriosamente comunicativa. Si tratta di un sistema di segni, colori e suoni fondato sull’ ispirazione, nel quale si rispecchiano quelli che ormai si potrebbero chiamare i cavalieri del Pardo d’onore. Ovvero i membri della confraternita che emerge dal medagliere di questo riconoscimento, una sorta di alta investitura immune dai consueti motivi esteriori (fama, politica, opportunità), ma caratterizzata da qualcosa di particolare nel quadro delle onorificenze della Settima arte. Il nobile sigillo di un festival che dal 1947 è riuscito a diventare grande restando in qualche modo piccolo, tenendo fede alla palpitante motivazione originaria. Quella che in francese (lingua ufficiale della manifestazione) si chiama “amour du cinéma”. Amore, e va bene. Ma anche la maturata consapevolezza che in un secolo per molti aspetti atroce come quello appena concluso il cinema ha rappresentato per le masse l’indispensabile fabbrica dei sogni, per gli iniziati il terreno della sperimentazione e della scoperta. Partito come umile testimone del mondo del lavoro, primo a portare sugli schermi italiani i veri operai dei cantieri e delle dighe, spesso definito minimalista per la sua capacità di rispecchiare la vita quotidiana, Olmi è stato sempre capace di sfuggire alle definizioni che gli venivano cucite addosso. Impeccabile osservatore del presente, è risalito al passato remoto incantando tutti con le storie di L’albero degli zoccoli; e subito dopo ha voluto misurarsi con la favola e il mito sempre a cavallo fra l’invenzione e il documento. E da una curiosità all’altra il suo cinema è diventato internazionale, ha trovato sfondi diversi e dimensioni impreviste. Tanto che qualcuno, vedendolo inscenare battaglie medioevali o arrembaggi di pirati cinesi, ha cominciato a parlare di “kolossal”. La verità è che Ermanno è nato uomo di spettacolo nel senso più completo, spazia dal cinema al teatro e alla prosa; e come se non bastasse ha fatto l’attore, dipinge, scrive (ha anche vinto dei premi letterari) ed è perfino capace di scegliersi da solo le musiche dei suoi film. Avendo tutte queste doti, non le ha quasi mai messe al servizio di iniziative altrui. Ogni volta che comincia una cosa è lui che l’ha ideata, prefigurata nei particolari e portata a termine facendo se possibile tutte le parti in commedia.
Ricordo che Vittorio De Sica, un poeta del cinema finito suo malgrado a lavorare sucommissione, guardava Olmi con mal celata invidia: “Spiegami come ti riesce di fare solo i film che vuoi…”. Fu una delle poche volte che vidi Ermanno arrossire, di fronte alla sortita di tanto maestro, e tuttavia incapace di rispondere. Olmi è un prototipo ed è inutile tentare di fare come lui, imitarlo è impossibile. Nel genere “la vita, istruzioni per l’uso”, dalla sua parabola artistica e umana si può al massimo ricavare qualche suggerimento. Avere fiducia in se stessi senza negarsi il beneficio del dubbio. Amare il prossimo senza però esagerare. Ascoltare ciò che serve e ignorare il resto. Applicarsi anima e corpo al lavoro che si sta facendo, come se fosse la prova del proprio diritto a esistere. E, nei limiti del possibile, prendere le cose (inclusi i premi) sorridendo e pronti a passare ad altro.

Open Doors

Quest’anno il Festival del Film di Locarno ospiterà nuovamente Open Doors, il progetto creato con il sostegno della Direzione dello Sviluppo e della Cooperazione, al fine di sostenere il cinema di qualità nei paesi che per ragioni economiche o geografiche incontrino delle difficoltà a realizzare e a promuovere la loro produzione. Open Doors organizza dunque un incontro operativo tra i cineasti di un paese o di un’area culturale, accompagnati dai loro film più recenti e dai loro nuovi progetti, e i produttori europei e internazionali interessati allo sviluppo di queste cinematografie. Dopo l’incontro con il cinema di Cuba, che lo scorso anno ha messo in moto lo sviluppo di quattro progetti, quest’anno Open Doors ospiterà i filmmakers di tre paesi dell’area del Mekong: Laos, Vietnam e Cambogia. Un incontro che vuole avere un ruolo concreto nel mettere a confronto tre paesi vicini che hanno diviso culture importanti e diverse, che hanno la necessità di mostrare al mondo la qualità delle loro creazioni, e che in questo incontro internazionale potranno trovare il sostegno, lo scambio culturale, l’attenzione e gli scambi professionali di cui hanno bisogno.

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