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Giochi nel buio

Giochi nel buio

Alla periferia di Milano c’è un deposito di rottami, nero e profondo come un ventre, come il Leviatano. È il 1977. Proprio lì, nel 2003, viene aperto un cantiere. Si costruisce una scuola, un asilo. E sarà intitolato al Dott. Ermanno Boldrini, «il dottorboldrini – tuttoattaccato», come lo chiamava il popolo degli Alveari.

Un giorno, per caso, Sandro viene a conoscenza dell’esistenza di quel cantiere. Un giorno, per caso, Sandro riceve un’email di Cinzia. Un istante cancella ventisei anni.

«Il fatto è che sta succedendo qualcosa, e a volte mi chiedo se quell’estate sia mai finita». Quell’estate non è mai finita. Per lungo tempo è rimasta assopita, quieta, ad attendere nell’angolo remoto nel quale era stata stipata. Ma quell’estate «non finirà mai».

1977. 2003. Gli Alveari. Le Casette. Le Erbacce. Sandro. Cì. 1977. 2003. Un vortice.

Stefano Massaron scaraventa il lettore dentro la sua storia, immediatamente. Con la sua scrittura densa e concreta, capace – ancor prima che di raccontare e di descrivere – di costruire. Con la sua scrittura “sensuale”, capace di riprodurre le sensazioni, tattili, olfattive, gustative. Con la sua struttura narrativa ipnotica e, a tratti, minacciosa, che procede secondo un principio di dilatazione, come cerchi concentrici che, partendo da un piccolo nucleo scuro e offuscato, si allargano, si estendono, fino a raggiungere la compiutezza.

Ruggine è, in qualche modo, un romanzo dell’infanzia. Di un’infanzia complessa, turbata, irrisolta. I bambini di Massaron, a volte, sembrano adulti. Agli Alveari, del resto, si fa in fretta a crescere. Bambini lucidi, consapevoli, quasi crudeli. Bambini che hanno orecchie, mani, occhi che troppo presto hanno iniziato a sentire, toccare e vedere. Un branco ormai smaliziato che ha perso, suo malgrado, l’innocenza.

Il disagio, l’angoscia, la paura, dapprima striscianti, assumono, via via, uno spessore, una rilevanza, una concretezza sempre maggiori. E il deposito, da entità inanimata (in maniera che riecheggia un’epicità tipicamente zoliana) diventa vivo, ma di una vita malsana, mefitica. E inquietante. I bambini «l’avevano sentito trasformarsi dal regno dei loro giochi a un luogo nero di incubi e ombre».

Gli sguardi, così come le voci, così come il tempo, a volte fermo e che, invece, a volte scorre, si inseguono, si alternano. Coralità e alterità insieme. Ruggine, però, non smarrisce mai il nucleo; il centro al quale rimane ancorato è quel deposito di rottami.

Un romanzo che dimostra come l’epoca dei “Cannibali” sia stata una fucina che, data per spacciata, esaurita, si è invece semplicemente ri-pensata ed evoluta. Ed è da quel pozzo che la narrativa italiana contemporanea continua ad attingere i suoi migliori talenti.

L’autore. Stefano Massaron ha esordito con il racconto “Il Rumore” su Gioventù Cannibale. Ha pubblicato Residui e King of Kings per Addictions. Traduce, tra gli altri, Joe R. Lansdale, Jonathan Coe, James G. Ballard.

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