Richard Harris
Richard Harris nasce in Irlanda, a Limerick, nel 1932. E’ morto a Londra il 25 ottobre 2002.
Fin da giovane studia recitazione e si dedica al teatro, dopo aver visto naufragare i suoi sogni di una carriera sportiva.
Viene impiegato poco più che ventenne nei ruoli secondari di alcuni modesti film, in particolare in quelli di Michael Anderson come Il fronte della violenza e I giganti del mare (1959). Grazie a quest’ultimo però ha l’occasione di conoscere almeno due mostri sacri del cinema: Charlton Heston, che in quell’anno sarebbe entrato definitivamente nell’Olimpo del divismo con il kolossal Ben Hur, e un Gary Cooper, ormai sul viale del tramonto, al suo penultimo film. Quelli di Harris sono per lo più ruoli da “duro”, dovendo egli spesso interpretare militari o terroristi dell’IRA. Gli basta attendere solo un paio di anni per farsi conoscere al grande pubblico con I cannoni di Navarone, nel quale figurano attori come Gregory Peck, David Niven, Anthony Quinn e Irene Papas. La sua ascesa prosegue in Italia, dove lavora con il grande Antonioni e al fianco di Monica Vitti in Deserto rosso, Leone d’oro a Venezia ’64. L’anno seguente recita in tre film, al servizio di Anthony Mann (Gli eroi di Telemark) e di grandi maestri, quale Sam Peckinpah (Sierra Charriba) e ancora con Antonioni e Bolognini in I tre volti. I suoi, però, sono soltanto ruoli-spalla, alle dipendenze dei divi americani dell’epoca. Il trionfo arriva, invece, nel ’63 con Io sono un campione, dove Harris riceve una candidatura all’Oscar assieme a Rachel Roberts. Lavora anche in film kolossal, come La Bibbia di John Huston. Un altro successo è del ’70 con Un uomo chiamato cavallo, in cui Harris interpreta con grande bravura John Morgan, un ufficiale inglese catturato e trattato duramente dai Sioux, di cui però riesce a conquistare la fiducia e l’affetto dando prova di valore e lealtà a segno di venire nominato capo tribù.
Da ricordare, inoltre, la sua prova nel western Uomo bianco, va’ col tuo dio! oppure in Cassandra Crossing, con Sophia Loren, Ava Gardner e Burt Lancaster, o ancora in Juggernaut di Lester con al suo fianco Omar Sharif. Impossibile dimenticare il suo Riccardo Cuor di Leone nel Robin e Marian sempre di Lester, con un memorabile Sean Connery, Audrey Hepburn e Ian Holm in una piccola parte. Si adatta e accetta qualunque offerta, come per I quattro dell’oca selvaggia, accanto al suo amico Richard Burton e Roger Moore. Il suo apporto in fiaschi assolutamente colossali offuscano leggermente la figura di Harris in alcune produzioni tra gli anni ’70 e ’80 (Il gioco degli avvoltoi, Highpoint, Maigret).
[img4]Ma si rifarà pienamente nel ’92 sfoggiando una forte interpretazione, nel capolavoro Gli Spietati del grande Clint Eastwood, di Bob L’inglese.
Tra i suoi ultimissimi lavori va segnalata la sua presenza ne Il gladiatore di Scott, dove veste i panni di un vecchio Marco Aurelio e nei due Harry Potter, film in cui interpreta il preside di Hoghwarts, Albus Silente.
Sparisce con lui un attore versatile, di altri tempi, capace però di mettere in luce il proprio talento e la singolarità dello stile nei ruoli più disparati, dotato di uno spirito di adattamento che l’ha reso idoneo anche a interpretazioni attuali. Harris appartiene a un modo di fare cinema che ora non esiste più, all’epoca d’oro della cinematografia. Allora quello dell’attore era un mestiere impegnativo, praticato da persone impegnate in un continuo esercizio, professionalmente preparate. Oggi, invece, persino un Alberto Tomba o una Valeria Marini avanzano pretese da attori o attrici di talento…
Onore al merito, dunque, per il vecchio e sempre attuale maestro Richard Harris!
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