Italian Academy 2
Fare il morbillo a ventisette anni è una tremenda iattura. Il programma delle malattie esantematiche in età adulta comprende infatti febbre a quaranta, congiuntivite e bronchite. Roba capace di fracassarti il morale, insomma. Non fosse stato per Italian Academy 2, l’avrei potuta definire una delle peggiori settimane della mia vita. E invece la cattività forzata mi ha fatto scoprire questo programmino sparuto e – diciamocelo – largamente snobbato dal grande pubblico. E un po’ mi si è aperto il cuore. È ormai risaputo che l’universo del talent è percorso da una linea di frattura netta, che separa il modello anglosassone, tutto incentrato sul talento, da quello latino, dove a farla da padrona è la spettacolarizzazione, che nella declinazione italiana della materia assume regolarmente i connotati della sceneggiata melodrammatica, tutta liti e pianti. Ma che ve lo dico a fare. Se siete spettatori televisivi, statisticamente non potete non aver visto qualche puntata di Amici. E allora ben conoscete il corollario di violenza e veleno che ci si ingolla insieme all’esibizione del ballerino o cantante di turno.
Italian Academy 2 (immagino che il “2” sia un omaggio all’emittente, visto che mi risulta sia la prima edizione) tenta l’impossibile: far apprezzare al pubblico italiano un’accademia televisiva dove la polemica è tendenzialmente contenuta all’interno del parlar civile, dove il rapporto alunno-professore è tendenzialmente sano (rispetto da una parte, professionalità dall’altra) e dove al centro della scena sta l’aspetto artistico della vicenda (cioè la danza, nella fattispecie) e non quello televisivo (cioè l’amorazzo, il litigio e la coltellata alle vertebre). Non a caso lo spunto di partenza è dato dal format Floor Filler, che viene dalla Svezia, una terra che in quanto a civiltà avrebbe parecchio da insegnarci anche in altri campi. Ovviamente sul piano degli ascolti la scelta è suicida, come conferma la serie di bastonate Auditel che il programma ha collezionato scontrandosi con i casting del suddetto Amici (e stiamo parlando di casting, non della trasmissione vera e propria). Un po’ come se si provasse ad applicare il Welfare o la trasparenza parlamentare tipici del Nord Europa in Italia, tanto per capirci.
Andando più nello specifico, vale la pena dire che rispetto ad altri programmi simili, Academy sceglie innanzitutto di puntare su una carta sola: quella della danza. E lo fa armandosi di parecchie eccellenze, da Luciana Savignano a Raffaele Paganini, giusto per citare le due stelle più note. In secondo luogo, il format prevede un’enfasi quasi assoluta sull’aspetto tecnico e artistico, tanto che una fascia quotidiana , nel preserale, è dedicata esclusivamente alla messa in onda delle prove in sala. Per il resto, abbiamo un’altra fascia quotidiana dalle 14 alle 15 con interviste ai protagonisti (anche qui incentrate tendenzialmente sulle coreografie) e scene di vita comunitaria, più una puntatona il sabato condotta da Lucilla Agosti (misurata e convincente conduttrice, ormai proiettata nell’Empireo delle superfighe, come testimoniano le recenti foto sui giornali) a base di esibizioni, prove, eliminazioni e ingressi. Insomma, gli ingredienti tipici di questo genere televisivo ci sono tutti. Cambiano solo le dosi e – soprattutto – le spezie con le quali li si condisce. Il problema, poi, resta un altro: i gusti dozzinali di larga parte del pubblico italiano.
A cura di Marco Valsecchi
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